Antonio Cotogni:
Un’audizione dinanzi a Giuseppe Verdi
La sera dell’11 marzo 1867 Toto Cotogni sedeva al teatro dell’Opera di Parigi per assistere alla prima rappresentazione del Don Carlos, ch’egli stesso avrebbe dovuto cantare nell’ottobre a Bologna, prescelto, come si è detto, dal Verdi e scritturato dallo Scalaberni.
Quest’opera che ebbe ad interpreti la Sass, la Gueymard, il Faure, il Morère, l’Obin, il David e il Castelmary, fu ascoltata con viva attenzione, ma non commosse troppo gli uditori, che si erano recati al teatro dell’Opera con la maggiore aspettativa. Il Verdi stesso, scrivendo al suo amico Piroli, così gli partecipava l’esito poco lusinghiero della sua nuova opera:
Il Don Carlos ieri sera non ebbe il successo che io sperava. Potrebbe darsi che nell’avvenire le mie esigenze fossero appagate, ma io non ho tempo d’aspettare e parto questa sera per Genova.
Il Cotogni osservò dunque e studiò con grande passione la parte del Marchese di Posa creata dal baritono Faure, e tornato in Italia, decise, prima di presentarsi al pubblico del Comunale di Bologna, di farsi udire dal Verdi. Il Mariani stesso ne aveva già parlato alla signora Giuseppina Verdi ed ora consigliava il Cotogni di recarsi senza indugio a Busseto.
Infatti una mattina d’aprile partì da Bologna, e giunto a Busseto, si avviò adagio verso la Villa di S. Agata, dove si trovava il Maestro. Il cuore gli batteva forte e l’idea di trovarsi fra poco in presenza di quel Grande a la cui fama è angusto il mondo, gli dava una specie d’irrequietezza e di nervosismo.
Sul mezzogiorno – così egli stesso mi raccontava – giunsi a la villa e mi fu detto che il Maestro, ancora assente, era per tornare. Tornò infatti poco dopo in tenuta da campagna e cogli abiti infangati. Vistolo in quell’arnese, io, più che disturbato, cercai di nascondermi, ma egli mi aveva visto e senza darmi tempo di pronunziare una parola, mi stese la mano e mi disse: Lei è il baritono Cotogni, nevvero? Benissimo: il Mariani già mi ha scritto in proposito, ed io ho il piacere di vederla qui e di sentirla… Venga, venga con me. E senz’altro mi condusse nel suo studio, prese lo spartito del Don Carlos e: Canti pure l’aria di sortita – disse preludiando. – Non puoi immaginarti – seguitava a narrarmi il Cotogni, con la sua abituale e sincera modestia – quel che provai in quel punto! Non era più io: tuttavia mi vinsi e come Iddio volle cantai: Carlo ch’è solo il nostro amore.
Ma nello sgomento di quell’esame supremo, pure fissavo il Verdi con ansia febbrile per scrutare quale impressione egli ricevesse al mio canto; e l’impressione fu buona, perchè alla cadenza finale egli approvò a voce alta: Bravo! Ora sentiamo il duetto; io farò la parte del tenore – mi disse il maestro.
Il duetto era il mio forte, e di esso, tranne un punto in cui interpretavo diversamente dalla volontà dell’autore, nulla mi preoccupava. Io, però, lo cantai come lo sentivo, sfidando magari un ammonimento, ed il Verdi fermatosi mi guardò e disse: Lei qui non eseguisce com’io ho scritto; ma poco importa; canti pure così, che va benissimo, anzi, va forse meglio… Quel crescendo dà un buon effetto… Ed ora per finire canti la morte.
Era quello che desideravo e, rimessomi dallo sgomento, intonai l’aria: Per me giunto è il dì supremo, cantandola come forse non l’ho più cantata in vita mia. Ci misi dentro tutta la foga dell’anima e, per la commozione, intesi il mio viso bagnarsi di lacrime! Terminai estenuato, ma una gioia ineffabile inondò presto il mio cuore, quando m’accorsi che il maestro pure piangeva!…
Bravo il mio ignorantino! – disse poi stringendomi forte la mano – Bravo! Vada pure a Bologna e dica al Mariani ch’io udendola cantare ho pianto!…
Io tornai a Bologna pienamente sodisfatto, ed attesi la prima rappresentazione del Don Carlos con la massima calma. Dopo aver cantato alla presenza di Verdi, il pubblico del Comunale non mi preoccupava davvero.
La nuova interpretazione a Bologna ebbe, la sera del 27 ottobre 1867, un successo veramente entusiastico e il Cotogni superò, nella parte di Marchese di Posa, di gran lunga il celebre Faure, che era stato, e che fu poi per lungo tempo, specialmente a Londra, suo maestro ed amico.
Testo estratto di Antonio Cotogni: ricordi di un artista di Nino Angelucci, Roma, 1907.