Heinrich Panofka:
Considerazioni generali VII
Della volontà: volere è potere.
L’applicazione d’un sistema allo svolgimento dell’organo vocale è la più fastidiosa faccenda del mondo. Ciascun professore ha il suo proprio, n’è convinto e lo crede il migliore. Uno raccomanda d’appoggiare le note di petto al petto e le note di testa alla testa; un altro, all’alunno che non sa ancora emetter la voce, insegna che il mi di petto deve esprimere un sentimento religioso, il fa un sentimento d’amore, il sol un sentimento di gelosia, ec.; altri raccomandano di chiuder la bocca per fare uscir la voce ec. Tutti dimenticano una semplicissima cosa; cioè, che la sede della voce è nella laringe; che il petto è il serbatoio dell’aria e la testa quello dell’intelligenza; più, che noi non facciamo nulla senza la volontà. Noi alziamo un braccio quando vogliamo, noi alziamo gli occhi al cielo quando vogliamo, cantiamo in tuono quando vogliamo, e si canta fuor di tuono quando vogliamo. Ora, poiché nell’arte del canto si tratta di cantare in tuono, bisogna voler cantare in tuono. I vecchi maestri italiani che capivano qualche cosa, non si son mai serviti di questi artificii che somigliano al ciarlatanismo.
Lo scolaro, quando canta un pezzo a quattro tempi, vede bene questa distribuzione dalla carta come vi vede le note. Lo strumentista che deve vincere il meccanismo del piano forte, del violino, del flauto per il quale bisogn
Ecco i tre precetti che sono i veri e i più semplici ricevuti per il principio degli studi vocali:
- Aprire la bocca naturalmente, prima d’emetter la nota;
- Comprendersi della giusta intonazione della nota da emettere;
- Emettere questa nota con un leggero colpo di gola sulla vocale a, colla ferma volontà di produrre un suono piacevole all’orecchio:
«Volere è potere». Vogliate adunque, o giovani artisti, aprire convenevolmente la bocca senza sforzi nervosi e con grazia, acciocchè la voce possa uscire senza impedimento. Vogliate pensare all’intonazione della nota che vaccingete a cantare, invece di preoccuparvi costantemente del suono e della forza della voce; vogliate sostituire alle false denominazioni di voci di petto e di voci di testa, quelle di voci di primo e di secondo registro. Queste false denominazioni di voci di petto e di voci di testa sono l’origine de’ più gravi disordini vocali degli alunni e dei professori senza esperienza. Egli è naturale che costoro cerchino la voce di petto nel petto dove non istà per nulla la voce, ma l’aria soltanto, e la voce di testa nella testa, dove non risiede la minima voce, ma il cervello (quando ve n’è). Vogliate adunque prestarmi fede quando io dico che, dove son voci sane, l’unione dei due registri si compie affatto naturalmente, e che i due registri non differiscono fra di loro che per l’impasto; che non v’è stacco (separazione); e che assolutamente non v’è che un mutamento d’impasto. Ma dove son elleno le voci sane!
Quasi sempre adunque si tratta di guarire un male inveterato che ha la sua causa propria nel far fare degli esercizi di messa di voce (filare i suoni) e d’agilità, senza por mente a unire i due registri; facendo così nascere una difficoltà che non v’era, perchè non s’è badato alla differenza dei due impasti, e s’è fatto studiare gli alunni in guisa da far loro oltrepassare i limiti del primo registro. Un mese di studi siffatti basta a rovinare la più bella voce!
Noi aiutiamo l’alunno nell’esercizio di tre, quattro, cinque, sei, sette e otto note del nostro Vademecum, prevenendolo del numero delle note che egli ha da cantare del primo e del secondo registro, e noi segniamo il cambiamento di registro col mezzo d’un rotoletto di carta o d’una bacchetta. Questa morale assistenza fa sì che l’alunno non stia preoccupato; e quando egli arriva alla scala, si trova belle compiuta la più perfetta unione dei due registri, e vinta fin dal cominciamento degli studi una delle più grandi sedicenti difficoltà dell’arte del canto. La guida del cantante è la sua intelligenza e la sua volontà; e questa più sarà perspicace, e più intelligenza sarà nel suo canto.
Si dice d’un cantante ch’ei canta da stupido, non solo perchè egli articola male, ma principalmente perchè la sua voce ha un metallo stupido, proveniente dalla sua intelligenza vocale limitata, e dalla mancanza d’una volontà ferma e risoluta per emendare questo difetto.
Testo estratto da Voci e cantanti, Ventotto capitoli di considerazioni generali sulla voce e sull’arte del canto, Enrico Panofka, Firenze, 1871. – Luca D’Annunzio.