Riflessioni sull'arte del canto

Beniamino Gigli:

Come si aiutano i cantanti a rivelarsi

Un passo che tutti debbono compiere, e che anzi tutti anelano di compiere il più presto possibile; in un’impazienza che corrisponde, in genere, anche alla generosa audacia dei debuttanti, ma che mette quasi sempre in contrasto fra loro gli scolari e i maestri.

Ansiosi, i primi, di misurare le proprie forze in un giudizio che la giovinezza dell’età prospetta sempre colmo di speranze e di promesse; accorti, timorosi, quasi gelosi i secondi di non sciupare con l’eccessiva fretta o per malaccorta improntitudine la ricchezza che essi vedono crescere e accumularsi sotto i loro occhi e nella loro vigilanza.

Forse è un po’ la psicologia del floricultore appassionato che trepida di veder disperdere il profumo e la bellezza del fiore amorosamente coltivato nel tepore della serra, esponendolo precocemente al sole troppo vivo o al vento troppo freddo.

Ma gli è che il fiore trova nella sua stessa natura il bisogno di offrire alla gioia degli altri l’ebbrezza del suo alito e lo splendore dei suoi petali vellutati…Chi può trattenere nel nido l’uccello che impenna le sue ali?

E per la stessa ragione non v’è prudenza, accortezza, severità di maestro che riesca a impedire del tutto queste… scappatelle degli scolari. Anche se tale severità sia assistita e corroborata da inflessibilità di regolamenti e di tradizioni nonchè dalla vigilanza di un’attenzione che qualche volta diventa perfino commovente.

Con tutto questo, ripeto, gli allievi riescono sempre a violare la consegna e a rompere la proibizione, ricorrendo a scappatoie di ogni genere, che i maestri non arrivano a pensare e a… riparare.

Per esempio nell’anno di grazia… il maestro Falchi direttore della Scuola di canto presso l’Accademia di Santa Cecilia, non avrebbe mai potuto pensare che un certo Gino Rosa, la cui partecipazione ai concerti dei grandi salotti mondani di Roma diventava sempre più frequente e più… desiderata, avesse una relazione di parentela molto stretta con suo allievo dal nome ugualmente floreale e che egli teneva gelosamente al riparo da ogni indiscrezioni e da ogni richiesta.

Beniamino Gigli? – rispondeva il bravo e zelante maestro a chi chiedeva il suo allievo prediletto per qualche manifestazione musicale in occasione di cerimonie, ecc. – io non ve lo posso dare. Chiedetemi tutti, ma questo no! Questo si presenterà al momento opportuno e vi so dire io che…

Figurarsi come rimase quando si accorse che i due fiori, il giglio a la rosa, si identificavano nella stessa persona! Eppure il mio primo peccato di… impazienza floreale aveva una giustificazione e uno scopo.

Perchè se è vero che, attraverso Santa Cecilia, io avevo raggiunto una assoluta tranquillità circa lo svolgimento dei miei studi, bisogna riconoscere che il mio stomaco non aveva affatto conquistato una uguale… regolarità.

E fra l’appetito non indifferente dei miei verdi anni e il desiderio altrettanto acuto di aiutare in qualche modo i miei famigliari che ne avevano una non meno impellente necessità, io provavo l’urgentissimo bisogno che la mia arte… fruttasse denari. Una confessione che non mi sarei vergognato di fare pensando che anche il Parini l’aveva addirittura cantata in… poesia!

Forse intuendo tutto questo il buon Falchi non eccedette nei suoi rimproveri per le scappatelle che erano arrivate a fruttarmi 300 lire in un giorno e 1200 in un mese, in quanto io ero riuscito a fare perfino tre concerti nello stesso pomeriggio, cantando romanze e canzoni in tre salotti diversi.

Meritandomi così, oltre alla soddisfazione della mia coscienza, anche le prime parole di stupefatto elogio di mio fratello maggiore, mio confidente e… tesoriere.

Ma appunto perchè io ho fatto come gli altri, e perchè capisco le impazienze e le… necessità, più o meno confessate, degli scolari di oggi, che sono tanto simili a quelli di ieri e di… domani, appunto per questo debbo avvertire subito che, in sostanza, i maestri brontoloni e i regolamenti tiranni hanno la loro ragion d’essere.

E non bisogna venir meno ai loro consigli e trasgredire ai loro ordini con una ostinazione che sappia di leggerezza, d’improntitudine, di incorreggibilità. Anche se il desiderio urge come spasimo e se il bisogno tormenta come un cilicio, bisogna aver pazienza e… pazienza. Perchè ho già detto che, in nessun’arte come nella nostra, la pazienza è la virtù essenziale e fondamentale. E guai a mangiare il proprio grano di erba, come si dice; anche se vi siano giustificazioni legittime di… appetito vero e proprio.

L’unica raccomandazione che io credo di poter fare ai maestri nonchè agli Istituti e ai Regolamenti che li disciplinano, è che, in fondo, la partecipazione ai concerti degli allievi, anche i migliori, quelli di cui essi sono logicamente e naturalmente più orgogliosi e gelosi, non può costituire in realtà un danno e un pericolo.

Tale forma di attività, infatti, serve ad abituare il giovane al contatto col pubblico, diminuendo implicitamente i rischi e soprattutto il disagio veramente tormentoso, di cui ci occuperemo a suo tempo, del vero e proprio debutto teatrale.

Al quale debutto bisogna arrivare vocalmente e artisticamente preparati il più possibile; cosicchè saranno consigliabili e dovranno essere inflessibili tutte le remore che il maestro  credesse ancora di opporre nell’interesse dell’allievo e del suo avvenire. Perchè tutti i grandi cantanti del passato studiavano perfino sette, otto, dieci anni per raggiungere la perfezione vocale che dava loro la sicurezza del successo.

Non è infatti il concerto ma il teatro che costituisce la prova decisiva per la vocazione artistica vera e propria. Ed è pertanto la prima affermazione teatrale che va considerata in tutta la sua importanza e curata nel miglior modo possibile, facendo tesoro dell’esperienza degli altri.

Io, per esempio, credo di poter suggerire ai miei colleghi che intendono iniziare oggi, o che inizieranno domani la loro carriera artistica, alcuni consigli di una importanza che mi sembra capitale.

Innanzi tutto bisogna sempre debuttare col proprio ruolo, ben determinato e ben formato. L’eccezione di qualche grandissimo che ha iniziato la sua strada come corista per poi diventare il più grande tenore del mondo, è un’eccezione che, come tutte le eccezioni, serve a confermare la regola. E la regola è che se si comincia con le parti di comprimario ecc. si rischia di restarlo per tutta la vita, sia per la tentazione del guadagno immediato e più facile, sia perchè si moltiplicano gli ostacoli obbiettivi e soggettivi per il raggiungimento dei ruoli di maggiore importanza e responsabilità.

Naturalmente da questa affermazione ne deriva subito un’altra che è il suo legittimo corollario. E cioè che non è possibile, nè sarebbe consigliabile, debuttare col proprio ruolo nei grandi teatri di primaria importanza (Teatro Reale, Scala, ecc.).

Meglio essere il primo a Corfinio che il secondo a Roma, diceva Giulio Cesare che, in fatto di superiorità assoluta, mi sembra se ne intendesse davvero. E io ritengo che questa massima debba essere tenuta presente, anche nel nostro caso, nella maniera più precisa e coraggiosa. 

Ecco perchè approvo foto corde la istituzione e la organizzazione dei teatri sperimentali che mi sembra corrispondano ottimamente nel significato e nella funzione ai nostri teatri di provincia di un tempo. Perchè hanno come questi quell’atmosfera di cordialità e quasi di confidenza che offre al debuttante la migliore atmosfera spirituale e anche materiale per ritrovare in pieno se stesso.

Proprio per la stessissima ragione, ossia perchè le qualità, le facoltà, le attitudini, le virtù del debuttante possano attuarsi ed affermarsi nel miglior modo possibile, io credo di dover avvertire categoricamente che, specialmente in sede di debutto, non bisogna subordinare il cantante all’opera, ma l’opera al cantante.

Tanto più che per fortuna, almeno per noi italiani, non manca davvero una ricchezza perfino esuberante di repertorio, nel quale si può scegliere senza difficoltà e senza limitazioni.

Il più grande errore, in questo campo e in simile occasione, è poi, secondo me, quello di far coincidere il debutto  di un artista col debutto di un’opera nuova, in quanto è evidente il rischio mortale che si corre di travolgere, in un’eventuale insuccesso della creazione musicale, anche lo sforzo, il nome, l’avvenire artistico dell’esecutore. 

La tradizione, invece, o l’indolenza delle abitudini, o qualche altra cosa che non corrisponde davvero alle migliori qualità dell’animo umano, fanno sì, tuttavia, che in teatro si verifichi spessissimo proprio quello che noi lamentiamo…

Testo estratto da Confidenze, Italo Toscani, Roma, 1943. – Luca D’Annunzio.

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