Riflessioni sull'arte del canto

Beniamino Gigli:

Il cantante, il compositore e il direttore d’orchestra

Bisogna permettere una distinzione fondamentale, fra i compositori antichi e i moderni. Considerando per antichi, s’intende, quelli vissuti e operanti per tutto il secolo scorso, quando cioè avevamo in Italia una grande abbondanza di compositori ma anche di esecutori di eccezione.

Un poco per questo è un poco per le speciali condizioni di vita che facevamo quasi, del teatro lirico, un mondo chiuso e affilatissimo, si stabilivano allora rapporti di amicizia e di fiducia frequentissimi fra gli autori e i cantanti. Il che dava modo d’intendersi reciprocamente sia per l’interpretazione di un’opera come per la sua creazione. Infatti, nell’atto stesso della composizione, anzi fin dalla sua ideazione medesima, si può dire che ogni autore pensava a colui o a colei che avrebbero dovuto esserne gli esecutori.

La storia dei grandi compositori è piena di esempi ormai arcinoti d opere scritte espressamente in omaggio a determinati cantanti e addirittura subordinate alle qualità e alle caratteristiche di determinate voci, che erano, dobbiamo riconoscerlo, assai spesso voci veramente eccezionali. Moltissime opere di Rossini, di Donizetti, di Bellini, dello stesso Verdi sono la dimostrazione e la prova di questa verità: come I Puritani scritti per il tenore Rubini, ecc., ecc.

Questi rapporti e queste abitudini, giustificate, ripeto, specialmente dalla larghissima possibilità di scelta che amava quasi la preferenza pregiudiziale è fondamentale, oggi non sono più in uso. Oggi la musica, e specialmente le opere liriche, si scrivono senza badar troppo a quel che ne sarà la possibile interpretazione da parte dei cantanti. Il che, mi sembra, ed è forse, indice di una maggiore superiorità e spersonalizzazione musicale, è anche il risultato della evidente penuria dei mezzi esecutivi per quanto si riflette alla interpretazione canora.

Forse perchè si richiede, oggi, una cura assai più completa e minuziosa e dispendiosa nei riguardi del complesso orchestrale, scenico, coreografico, ecc. Ciò non toglie che quando l’opera sia pronta per il varo nei confronti del pubblico, gli autori, anche se apprezzati, anzi tanto più quanto più sono famosi, cerchino il concorso di cantanti noti e stimati. Perchè la popolarità dell’esecutore è il miglior viatico al successo e alla vitalità dell’opera lirica.

Tutti i compositori vorrebbero avere come collaboratori i grandi cantanti perchè il pubblico è naturalmente ben disposto verso costoro è più incline ad associare il nome dell’esecutore ad un trionfo artistico; ma purtroppo bisogna che i compositori si adattino a quello che offre… il mercato, e anche alla necessità dei complessi più economici se pure di minor rendimento.

Se ritorna così al giro vizioso degli artisti non ancora formati che debbono sacrificarsi e magari sacrificare a loro volta l’opera d’arte nel suo battesimo originale: mentre d’altra parte è sempre una festa, anche per i compositori più celebri, quando possono rinfrescarsi i loro allori con esecuzioni affidate, finalmente, ad elementi di prim’ordine.

Non faccio nomi e non cito esperienze, in omaggio al principio che mi sono imposto iniziando queste confidenze; ma è certo che anch’io ho esperimentato la gioia grata e commossa dei maestri più illustri quando hanno visto le creature della loro fantasia e le melodie della loro ispirazione vestite di panni regolari e affidate a mani e voci sicure…

Fra direttore d’orchestra e cantante, perchè la collaborazione sia perfetta e reciprocamente utile ai fini dello spettacolo, i rapporti di ammirazione reciproca debbono diventare legami di comprensione e di valutazione.

Indubbiamente il cantante deve vedere e rispettare nel direttore d’orchestra il capitano cui spetta il comando assoluto per condurre in porto la nave; ma anche il direttore deve a sua volta considerare il cantante come il suo migliore e più prezioso collaboratore perché lo spettacolo acquisti maggior fusione e più armonico risalto. A questo fine la utilizzazione, e magari lo sfruttamento dell’artista dev’essere compiuto con intelligenza e con comprensione intelligente e amichevole.

Il direttore deve cioè innanzi tutto capire e considerare le condizioni fisiche e vocali in cui si trova seralmente l’artista, che è il più delicato, il più duttile, ma anche il più variabile il più sensibile dei suoi strumenti. E poichè si tratta di… strumento umano, bisogna che il direttore si adatti volta per volta alle possibilità fisiologiche e artistiche degli esecutori.

Il direttore, pertanto, deve sdoppiarsi da quella sua naturale inclinazione che lo indurrebbe a sopravvalutare, professionalmente e istintivamente, l’orchestra. Invece il direttore che vuole ottenere il massimo effetto da tutti gli elementi ai suoi ordini, traendone il rendimento maggiore, deve adattare l’orchestra alle possibilità dei cantanti.

E il suo occhio e la sua bacchetta debbono indirizzarsi più al palcoscenico che ha la massa orchestrale: come fanno appunto i direttori più noti e più celebri che raggiungono in tal modo una maggiore fusione fra voci e strumenti, e di conseguenza, un miglior rendimento dal complesso dello spettacolo. Invece i direttori, diciamo così, rigidi e inflessibili che pensano esclusivamente alle capacità musicali e si preoccupano principalmente di ottenere successi con l’orchestra, non potranno mai vantare grandi esecuzioni liriche; anzi assai spesso otterranno effetti opposti a quelli che si prefiggono.

Il direttore esperto deve guardare dunque non lo spartito (ecco il vantaggio di quelli che dirigono a memoria) ma il palcoscenico, senza arrivare all’assurdo di un certo maestro che diceva appunto agli artisti: “Guardate tutti a me!”. E noi guardavamo, ma riusciamo a vedere soltanto il bottone del colletto del direttore tutto curvo sullo spartito.

Si capisce che, durante le esecuzioni esclusivamente sinfoniche, i direttori seguono e sorveglino la massa degli strumenti per ottenerne l’effetto voluto. Ma quando si tratta di teatro, l’attenzione dev’essere perlomeno divisa fra i suonatori e i cantanti; altrimenti si resta grandi direttori d’orchestra, è vero, ma anche inefficaci o addirittura pessimi dirigenti lirici.

Così si spiega come qualche direttore, che pure va per la maggiore in Italia in fatto di esecuzioni orchestrali, sia superato da altri di minori esperienza, di minore autorità e di minor fama, quando si tratta di rappresentazioni teatrali. Alcuni maestri sono invece rinomati soltanto per questo genere di direzione lirica, in cui riescono a ottenere effetti di primissimo ordine appunto perchè rinunciano a imporre la loro personalità artistico-orchestrale di fronte a quelle che sono reali ed effettive possibilità del palcoscenico.

Certo il massimo rendimento si a quando il maestro, senza rinunciare del tutto alle sue caratteristiche orchestrali riesce a ottenere la più grande, intensa e intima collaborazione da parte del cantante, il quale non si sente subordinato all’orchestra e viene invece stimolato ad una emulazione feconda. Effetto che non si può ottenere, s’intende, quando fra il direttore e l’artista lirico, anche se si tratta di un divo, esiste incomprensione o, peggio ancora, animosità reciproca. Brutta condizione di fatto, del resto, che altera e svalorizza tutte le azioni umane non soltanto nel campo artistico propriamente detto…

Testo estratto da Confidenze, Italo Toscani, Roma, 1943. – Luca D’Annunzio.

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