Riflessioni sull'arte del canto

Carlo Labus:

Nozioni di igiene vocale IV

Se un esercizio vocale non riesce perché manca l’agilità o non si possono attaccare bene le note acute o le centrali; od i suoni escono malsicuri, si spezzano, si fanno stecche; se vi ha durezza, non è facile il piano, sono impossibili le smorzature al pianissimo; se non vi ha più limpidezza di suono ma una velatura costante e si è obbligati a frequenti hem per staccare il catarro o a raschiare per schiarire la voce, è segno che l’organo è indisposto, che vi ha qualche affezione nel sistema muscolare o nella mucosa. Grave è l’errore di insistere nel lavoro per vincere il difetto come fanno taluni e come pur troppo consigliano anche certi maestri.

V’hanno alcuni che prima di riescire ad ottenere la voce obbediente sono costretti a fare un quarto d’ora o mezz’ora di esercizii; ossia come si dice devono riscaldarla. È cosa questa anormale: è l’indizio di uno stato di torpore, di rigidità dell’organo. Tali individui sono costretti ad un lavoro doppio degli altri e finiscono per non reggere a lungo. Talvolta la velatura dipende da infiltrazione sierosa dei tessuti che scema smuovendoli, scuotendoli, facendoli vibrare; in questo caso è bensì vero che la voce si schiarisce pel momento riscaldandola, ma poi aggravandosi lo stato per il quale si era formata l’infiltrazione, la raucedine non si dissipa più col lavoro ma anzi peggiora. E però non si nega che allorquando si deve fare un lavoro di agilità, per ottenerlo a perfezione, è necessario sgranchire prima gli organi vocali con parecchi esercizii.

Testo estratto da Nozioni di igiene vocale, Carlo Labus, Milano, 1899. – Luca D’Annunzio.

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