Riflessioni sull'arte del canto

Enrico Delle Sedie:

Il cantante come padrone del suo strumento

È errore credere che gli studi tecnici sull’istrumento vocale possano inceppare la spontaneità dell’ emissione del suono. Quando si ammetta che l’applicazione di tale studio venga, come deve esserlo, fatta fino dai primordii e continuata con persistenza, la voce giungerà a familiarizzarsi con tutte le emissioni possibili dei diversi timbri, in modo che queste diverranno poi naturali e spontanee.

Fu detto che Lablache e Ronconi indicavano, prima di cominciare lo spettacolo, in quali punti dell’opera avrebbero trasportato l’uditorio all’entusiasmo. Ciò dimostra in qual modo quei grandi artisti sapevano disporre dei loro mezzi vocali e calcolarne gli effetti a loro talento. Per raggiungere questo grado sublime dell’arte, essi non potevano restare inconsci dei movimenti organici dell’istrumento vocale.

Del resto, l’espressione medesima del celebre Lablache riportata nell’opuscolo del Signor Coletti ce lo attesta. Si canta coi nervi, egli disse; e, di fatto, questo asserto racchiude in sè l’essenza di una teoria filosofica. I nervi agiscono in tutti i nostri movimenti, ma essi vengono mossi dall’intuito, il quale produce l’analisi del pensiero.

Dunque l’intuito serve di motore ai nervi; l’anima è il tutto, ma, affinché questa faccia agire la rete nervosa che comanda il nostro essere e la guidi in senso ragionato, è d’uopo concepire e maturare l’idea; questo senso intimo dell’anima quando vuole e premedita non può essere inconscio dei processi misteriosi della natura. Ma ancorché si volesse credere come possibile tale fenomeno, contrario alla natura medesima, mi permetterei di affermare che la scienza non è stata mai nociva all’arte, ma bensì da quella ha ricevuto il suo sviluppo progressivo. 

Testo estratto da Riflessioni sulle cause della decadenza della scuola di canto in Italia, Enrico Delle Sedie, Roma, 1881. – Luca D’Annunzio.

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