Riflessioni sull'arte del canto

Gemma Bellincioni:

Fedora

L’anno seguente fui ancora chiamata al Lirico da Sonzogno per la creazione di Fedora di Um­berto Giordano. Quando si diede a Roma per la prima volta Cavalleria Rusticana, Umberto Giordano era uno dei giovani concorrenti che più si era distinto nel Concorso e per il quale Son­zogno aveva molta deferenza. Venne un giorno a casa nostra, pregandoci di udire la sua opera, e subito si comprese come Giordano avesse tutte le qualità per un brillante avvenire.

Il suo Andrea Chenier, che venne poi rappre­sentato alla Scala, fu la rivelazione che suggellò la carriera dell’illustre Maestro, del quale all’e­poca dell’Esposizione a Vienna, io cantai Il Vo­to, altro soggetto verista del Di Giacomo, forse il più audacemente verista che fosse stato mu­sicato, e che fu accolto dai Viennesi con entu­siasmo.

Cosa rara, in un maestro compositore, Gior­dano da quel bravo e buon ragazzone che era, serbò per noi una grande riconoscenza, tanto che i rapporti si mantennero così cordiali, che più di una volta fu ospite gradito in casa nostra, e parte di Fedora fu scritta appunto a Firenze nel­l’appartamento che occupavamo al Viale Mar­gherita, e ricordo come Stagno per farlo lavorare lo chiudesse, sorridendo, nella sua camera, co­me un buon papà avrebbe fatto con un figlio. Morto il nostro povero amico, che doveva essere il creatore della parte di Loris Ivanoff, Giordano si trovò nell’imbarazzo di una scelta, che non era facile per un maestro che aveva scritto pen­sando all’esecuzione di un grande artista come era Stagno. Corsero trattative con Fernando De Lucia, ma sorsero difficoltà per impegni già presi dall’illustre artista per altri teatri. Io mi trovavo alla mia villa di Livorno in riposo, quando rice­vetti una lettera del Maestro, pregandomi di an­dare a sentire un giovine tenore, un certo Ca­ruso… che cantava nei Pagliacci al Politeama Livornese, stagione di agosto. La voce mi fece subito una grande impressione per la bellezza e la spontaneità, ma la parte di Canio era troppo diversa da quella del gran signore russo della Fedora, per poter farsi un’idea esatta sul valore complesso dell’artista. Scrissi a Giordano la mia impressione, ma dissi pure che con i mezzi vocali di Caruso, il successo era quasi già assicurato, tanto più che anche come attore aveva del temperamento drammatico. E infatti la Fedora al Lirico segnò un trionfo, e per Caruso fu la sua rivelazione, e da Milano ebbe principio la fantastica fortuna che poi accompagnò sempre il Divo nella sua meravigliosa carriera. 

Testo estratto di Io e il palcoscenico di Gemma Bellincioni, Milano, 1920.

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