Riflessioni sull'arte del canto

Giacomo Lauri-Volpi:

Respirazione cantata e metodi

Il corpo vitale della voce è l’aria. Senz’aria non si respira, senza respiro non si canta. E non si vive. Dire dunque che l’aria é il corpo vitale della voce, non è oziosa né speciosa affermazione. Saper respirare è saper cantare.

Va notato che vari trattati di fonetica e di pedagogia vocale non s’accordano sul metodo di respirazione. Chi la consiglia parietocostale inferiore; chi costale superiore. Chi raccomanda superficiale, e chi profonda. Qualcuno consiglia la respirazione clavicolare; altri, la diaframmatico-costale o la diaframmatico-addominale. Quanto all’attacco del suono, alcuni esortano al colpo di glottide, altri al colpo di petto, altri al colpo di testa. Tutti si diffondono sui particolari fisici e fisiologici e sulle nomenclature tecniche degli organi della respirazione, della fonazione e delle risonanze. Ma non v’è chi dia all’artista l’idea sintetica e costruttiva della tecnica vocale. Volendo intuirsi a fondo, come un tutto unico di vari elementi parziali, l’uomo dovrà ammettere che il concetto della vita e del mondo come armonia non è un’astratta categoria del pensiero, bensí una veritá e una realtà viventi, condizioni essenziali per corrispondere con l’infinito circondante. Armonizzare i contrarî è il fine supremo della conoscenza, dell’arte e della vita.(…)

Si è detto che nel meccanismo della respirazione cantata dominano la volontà e la coscienza. Gli organi che vi partecipano sono la laringe, la trachea, i bronchi, i polmoni e il torace col suo sterno e le sue costole. In quest’ultimo gli spazî intercostali vengono occupati dai muscoli intercostali interni ed esterni. L’apertura toracica inferiore è molto elastica nel dilatarsi, a differenza di quella superiore. Nel canto, oltre ai muscoli intercostali toracici, partecipa il diaframma, muscolo inspiratore per antonomasia. È un muscolo divisorio, in senso orizzontale, fra la cavità toracica e la cavità addominale. Questo muscolo s’inserisce alla colonna vertebrale, alle costole e allo sterno con fasci di muscoli e tendini. Il muscolo diaframmatico ha due superfici, una concava e l’altra convessa, ed è forato in tre punti attraversati dalla vena cava, dall’esofago e dall’aorta. Al di sopra del diaframma sono situati i visceri toracici (cuore e polmoni); al di sotto i visceri addominali (fegato, milza, pancreas, stomaco, intestino, vescica, reni, utero, ovaie).

Nell’inspirazione il diaframma si contrae e, abbassandosi, comprime i visceri addominali, mentre la cavità toracica aumenta di ampiezza; nell’espirazione, il diaframma si rilascia e i visceri addominali, compressi dalla parete addominale, lo sospingono verso l’alto, mentre diminuisce la capacità toracica.

Nella respirazioni artistica, il soffio è regolato dalla volontà ed è basato sopra il movimento diaframmatico-costale inferiore della respirazione automatica, allo stato di quiete, con la differenza che la cintura formata dai varî muscoli dell’addome deve mantenere la sua funzione per la durata del duplice atto respiratorio in virtù del freno inspiratorio nell’allontanamento volitivo e nel riavvicinamento cosciente della parete addominale, dalla colonna e verso la colonna vertebrale. È acquisto che l’atto respiratorio canoro risulta, così, da una serie di atti volitivi che col tempo e la visione del bello diventano artistici. Il processo dall’incosciente al consciente e dal cosciente all’intuitivo si fa graduale ed è frutto di progressiva rivelazione.

Il freno espiratorio costale è di gran lunga più efficiente ed efficace del freno inspiratorio diaframmatico, anch’esso fondamentale. Tra freno diaframmatico e freno della cintura muscolare toracico-addominale si stabilisce il conflitto dei contrarî. Leonardo asserisce esser l’uomo un piccolo mondo con la sua terra, la sua acqua, la sua aria, il suo fuoco. Diaframma e cintura sono i personaggi del dramma artistico nella respirazione cosciente. Il diaframma combatte per mantenersi verso il basso nella compressione dei visceri addominali e nell’allontanamento della parete addominale dalla colonna vertebrale, la cintura muscolare del torace e dell’addome reagisce per riavvicinare la parete alla colonna, comprimere a ritroso i visceri, sollevare il diaframma e, restringendo la cavità toracica, spingere il soffio dentro il tubo pneumatico. Il duello finisce quando il soffio è uscito sotto la legge ritmica della volontà.

Dunque, diaframma e cintura muscolare, in lotta fra loro e insieme associati dall’armonia delle facoltà superiori dell’anima, determinano il flusso aereo, parte del quale sarà tramutato in voce laringea e in risonanza di voce melodica.

E qui sorge un altro contrasto: quello delle opinioni, tra loro avverse, degli scienziati della voce. Ma il cantore deve prescindere da elucubrazioni analitiche e applicare l’opinione che nasce dall’esperienza viva del canto e dalle urgenze di problemi che talvolta si presentano improvvisi alla ribalta, nel pieno svolgimento dell’azione e del canto. Posto che la respirazione scientifica e consciente è diaframmatico-costale, poco importa se ad essa partecipino le costole inferiori o superiori del torace. 

L’aria respirabile ordinaria per respiro automatico, nello stato di quiete, è valutata dai fisiologi a cinquecento cmc. La capacità massima di inspirazione, nell’atto volitivo, è misurata da un’inspirazione di tremilacinquecento cmc. d’aria. La differenza fra le due cifre stabilisce la quantità d’aria complementare e di riserva che si può inspirare. È noto che tra respiro e respiro, nello stato di riposo, v’è una pausa ristoratrice che risponde al ritmo respiratorio. L’aria di riserva, così importante nel canto, non viene espulsa nella respirazione automatica. Nella respirazione cantata la pausa di riposo è minima e l’espirazione è composta d’aria complementare, ordinaria e di riserva, a differenza della respirazione parlata che è di solito formata da poca aria ordinaria e di riserva. Quest’ultima, nella respirazione cantata, deve sostenere, in certi casi, quasi tutto il peso respiratorio. Talché, ancor piú che  nel parlare, va utilizzato nel cano il massimo d’aria di riserva, a condizione, però, che alla fine della frase musicale e al termine dell’espirazione rimanga tesaurizzata nel mantice tanta riserva di quell’aria quanta sarebbe necessaria per trattenere il respiro ancora per un certo tempo.

Anche su questo punto v’è divergenza d’opinioni fra pedagoghi del canto. Non è un mistero per nessuno, in teatro, che taluni cantano assorbendo l’aria esterna a pieni polmoni, a bocca e narici spalancate, per accumulare un eccesso d’aria supplementare. Il rumore respiratorio contende il primato al suono vocale e non v’è ascoltatore che non lo senta come un’aspirazione sibilante. In questo caso l’azione respiratoria di tipo addominale fornisce un eccesso d’aria supplementare. Confermato che la respirazione deve rimanere del tipo diaframmatico-costale, l’immissione dell’aria, nel canto, avverrà superficialmente in base ad un’inspirazione d’aria supplementare proporzionata all’inspirazione d’aria ordinaria. In altre parole, l’artista cosciente e sicuro di sé canterà respirando naturalmente, regolandosi secondo le esigenze vitali dell’ossigenarsi e quelle artistiche della frase cantata e da cantarsi dopo la pausa. Lo slancio sarà proporzionato all’ostacolo da superare. In séguito, esperienza e maturità insegneranno la respirazione spontanea e rapida, divenuta un riflesso automatico condizionato, acquisito nella ginnastica abituale. È lo stesso fenomeno che si riscontra nell’automatica digitazione del pianista.

Riepilogando, si può stabilire che, trovato il punto d’appoggio, il suono melodico s’alimenta della corrente d’aria che risulta, abitualmente, da millecinquecento a duemila cmc. d’aria durante la inspirazione cantata. Un impegno di maggior quantità d’aria _ ossia del massimo di capacità inspiratoria corrispondente a tremila cmc._ obbligherebbe a uno sforzo polmonare che provoca, di solito, l’enfisema e l’indebolimento del muscolo cavo. Quanto all’apertura della cavità orale nel canto, va ricordato ch’essa è l’effetto, non la causa, di una giusta emissione, quando il diaframma proietta in direzione delle cavità superiori la colonna d’aria necessaria sufficiente. È intuitivo che la sola aria ordinaria del respiro vitale, in stato di quiete e di silenzio, non basterebbe a un atto respiratorio di una certe energia. Per la quale regione, tanto nel respirare parlando che nel respirare cantando, s’immette quella certa quantità d’aria di compenso o di supplemento a sostegno della parola e del suono. Flusso aereo, altezza e densità del suono non debbono nuocere alla libera articolazione e pronuncia della parola. Suono e parola restano paralleli, servendo ciascuno l’espressione dell’idea, in quanto è fenomeno psichico, intenzionale, oltre che essere fenomeno fisico. Gli animali _ irragionevoli _ cantano preterintenzionalmente, per istinto, non suscettibili quindi di migliorare la loro fonazione. Per contro, l’animale ragionevole che’è l’uomo, canta per usare il linguaggio dei fenomenologisti, con riduzione eidetica, avendo per oggetto la realtà che abita in lui, la mente vôlta alla visione dell’oggetto che egli ama e pensa. Dunque gli è presente _ lo abbiamo detto _ non soltanto l’oggetto fisico, la nota da forbire cantando, ma l’oggetto psichico che il suo spirito contempla nell’estasi del suo canto: la sue radice.

Testo estratto da Misteri della voce umana, Giacomo Lauri-Volpi, Milano, 1957. – Luca D’Annunzio.

error: Content is protected !!