Riflessioni sull'arte del canto

Giulio Caccini

Euridice

All’Illustrissimo Signor Giovanni Bardi de Conti di Vernio.

Avendo io composto in musica in stile rappresentativo la favola d’Euridice e fattala stampare, m’è parso parte di mio debito dedicarla a V. S. Illustrissima, alla quale io son sempre stato particolar servitore, e a cui mi truovo infinitamente obbligato. In essa ella riconoscerà quello stile usato da me altre volte, molti anni sono, come sa V. S. Illustrissima, nell’ecloga del Sanazzaro Itene all’ ombra degli ameni faggi ecc., in altri miei madrigali di quei tempi: Perfidissimo volto; Vedrò il mio sol; Dovrò dunque morire, e simili. E questa è quella maniera altresì, la quale negli anni che fioriva la Camerata sua in Firenze, discorrendo ella, diceva, insieme con molti altri nobili virtuosi, essere stata usata dagli antichi Greci nel rappresentare le loro tragedie e altre favole, adoperando il canto.

Reggesi, adunque, l’armonia delle parti che recitano nella presente Euridice, sopra un basso continuato, nel quale ho io segnato le quarte, seste e settime, terze maggiori e minori più necessarie, rimettendo nel rimanente lo adattare le parti di mezzo a’ lor luoghi nel giudizio e nell’arte di chi suona; avendo legato alcune volte le corde del basso, affine che nel trapassare delle molte dissonanze ch’entro vi sono, non si ripercuota la corda e l’udito ne venga offeso. Nella qual maniera di canto ho io usata una certa sprezzatura, che io ho stimato che abbia del nobile, parendomi con essa di essermi appressato quel più alla naturai favella. Ne ho ancora fuggito il riscontro delle due ottave e due quinte, quando due soprani cantando con l’altre parti di mezzo, fanno passaggi ; pensando perciò, con la vaghezza e novità loro, maggior- mente dilettare; e massimamente poi che senza essi passaggi, tutte le parti sono senza tali errori.

Io era stato di parere, con l’occasione presente, di fare un discorso ai lettori del nobil modo di cantare, al mio giudizio il migliore col quale altri potesse esercitarsi, con alcune curiosità appartenenti ad esso, e con la nuova maniera de’ passaggi e raddoppiate inventate da me, quali ora adopera, cantando l’opere mie, già è molto tempo. Vittoria Archilei, cantatrice di quella eccellenza che mostra il grido della sua fama. Ma, perchè non è parso, al presente, ad alcuni miei amici (ai quali non posso, ne devo mancar per questo), mi sono perciò riserbato ad altra occasione, riportando io, per ora, questa sola soddisfazione di essere stato il primo a dare alla stampa simile sorte di canti, e lo stile e la maniera di essi. La qual si vide per tutte l’altre mie musiche che son fuori in penna, com- poste da me più di quindici anni sono in diversi tempi, non avendo mai nelle mie musiche usato altr’arte che l’imitazione de’ sentimenti delle pa- role, toccando quelle corde, più o meno affettuose, le quali ho giudicato più convenirsi per quella grazia che si ricerca per ben cantare; la qual grazia e modo di canto, molte volte mi ha testificato essere stata costà in Roma accettata per buona universalmente V. S. Illustrissima. La quale prego intanto a ricevere in grado l’ effetto della mia buona volontà ecc. ; a conservarmi la sua protezione, sotto il quale scudo spererò sempre potermi ricoverare ecc., et esser difeso dai pericoli che sogliono soprastare alle cose non più usate; sapendo che ella potrà sempre far fede non essere discare le cose mie a Principe grande, il quale avendo occasione di esperi- mentare tutte le buone arti, giudicare ottima- mente ne può; con il che baciando la mano a V. S. 111., prego Nostro Signore la faccia felice.

Di Firenze li 20 di dicembre 1600. Di V. S. Illustrissima

Servitore affezionatissimo e obbligatissimo

Giulio Caccini.

Prefazione a L’Euridice, Giulio Caccini, Firenze, 1600. – Luca D’Annunzio.

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