Riflessioni sull'arte del canto

Gustavo Magrini:

Dello studio

I progressi degli scolari dipendono più dalla cura coscienziosa portata negli studi, che dal numero di ore impiegate nell’esercitarsi, ma conviene aggiungere che, per non rendere infruttuosa questa affermazione, è necessario prendere anche una via di condotta molto razionale, per quanto riguarda l’ordine degli esercizi. I Metodi (che non mancano, e buoni) non sono altro che una guida, dove è svolta tutta la materia, ma generalmente non insegnano a studiare, mancando di ordine logico; infatti vediamo che in tutti i Metodi, i solfeggi p. es. sono per lo più in fine, dopo tutti gl’innumerevoli esercizi di meccanismo. Questa condotta è naturale ed è pure necessaria per evitare confusione; il Metodo è diviso in parecchi capitoli, ciascuno dei quali comprende e tratta una data parte della materia. 

Sta nel criterio dell’insegnante il saperlo adoperar bene, trattando due, tre o più capitoli contemporaneamente, insistendo su quelli nei quali incontrerà maggior difficoltà e facendo precedere quelli che sarà del caso, secondo lo sviluppo vocale dell’alunno. Oltre a ciò devo aggiungere che basarsi sopra un Metodo, qualunque esso sia, è assolutamente insufficiente; per ciascun scolaro converrà impiegare degli esercizi appositi, affinchè l’educazione sia ben diretta. Ho già detto, ed affermo nuovamente, che ogni voce esige un trattamento speciale, tanto più nei principi.

Solo dopo d’aver impostata una voce, corretti i difetti naturali con esercizi adatti, si potrà passare alle opere didattiche, ossia al Metodo. Questo non servirà ad altro che a risparmiare la continua noia e fatica di scrivere gli esercizi di meccanismo, che, dal più al meno, sono sempre gli stessi e si trovano in tutti i Metodi.

Una specie di ordine nello studio o, come suolsi dire, programma, lo si potrebbe riassumente press’a poco così, ricordando che il solfeggio dev’essere fatto in ordine progressivo e continuo, contemporaneamente allo svolgimento della parte tecnica:

  1. Respirazione. – Emissione vocale.
  2. Unione dei Registri.
  3. Successioni di note e intervalli, tanto ascendenti quanto discendenti, sui gradi della Scala naturale diatonica, limitando l’estensione della voce. Esercizi d’Intonazione.
  4. Gli stessi esercizi, in tutta l’estensione della voce, usando particolar cura per le note acute.
  5. Successione di Scale, ascendenti e discendenti, restando in tono della Scala naturale diatonica.
  6. Arpeggi diversi.
  7. Esercizi sui semitoni.
  8. Successioni di scale diatoniche per ordine cromatico.
  9. Tonalità maggiore e minore.
  10. Esercizi cromatici.
  11. Intervalli maggiori, minori, eccedenti e diminuiti.
  12. Esercizi diversi di meccanismo: Agilità, Gruppetti, Trilli, Appoggiature, Staccato, ecc. ecc.

Ogni numero deve essere svolto ampiamente e lo studio di esso sarà continuato, anche quando si studiano i seguenti.

Negli esercizi d’emissione vocale p. es. dopo la scala, fatta col grado dinamico del mezzo-forte, la medesima scala sarà fatta cominciando le note pianissimo, rinforzandole gradatamente fino a raggiungere il forte e poi diminuendole per finire l’emissione nuovamente pianissimo.

È sottointeso che, in questo esercizio, in un fiato si farà sempre una solo nota.

Con questo esercizio, fatto costantemente, la voce troverà facilità nell’essere sostenuta e sarà preparata anche per i cosiddetti “suoni filati “.

Il solfeggio sarà fatto dapprima, e per qualche tempo, soltanto sugl’intervalli della scala naturale diatonica, senz’altri semitoni all’infuori del Mi-Fa e del Si-Do. Solo in seguito, dopo d’aver sviluppato il capitolo dei semitoni e quello dei vari intervalli, si comincieranno i solfeggi in tutte le diverse tonalità e con l’applicazione degl’intervalli stessi. Il senso della tonalità deve essere sviluppato gradatamente, facendo rilevare prima di tutto le caratteristiche principali che differenziano il modo maggiore da quello minore. I semitoni, che purtroppo formano lo scoglio della maggior parte dei cantanti, devono pure essere studiati gradatamente. Sarà molto opportuno appoggiarsi sempre (sia in principio dell’esercizio, sia in fine) sulle note fisse della scala naturale diatonica.

Quando uno scolaro giungerà da solo, senza aiuto del pianoforte, a passare lentamente, per semitoni, dalla prima alla quinta del tono e viceversa, con perfetta intonazione, potrà dire di aver raggiunto un discreto grado di educazione vocale. Il passaggio per semitoni dalla nota più bassa alla più alta di un’estensione di voce, eseguito con perfezione, è il massimo che un artista di canto possa raggiungere in fatto di intonazione. 

Anche lo studio degl’intervalli, in generale, non dev’essere casuale e fatto seguendo il sistema esposto indistintamente in tutti i metodi, cioè in forma di progressioni, cominciando dalle “ terze” “quarte “ e via di seguito; in questa guisa con un po’ di orecchio, chiunque è capace di farli: afferrato il primo intervallo, gli altri, succedendosi, come ho detto, in forma di progressione, vanno da sè. Lo studio degl’intervalli deve essere ragionato e ben condotto. Tutt’al più si potrà dare qualche passata ai suddetti nell’ordine progressivo, ma poi devono essere fatti a sbalzi, non solamente in uno istesso genere, ma anche saltando da un genere all’altro; p. es. lo scolaro, appena avuta dal pianoforte o da altra voce una nota, partendo da questa dovrà fare un intervallo di “terza“ quindi uno di “quinta” o di “quarta” ecc., ecc., variando l’esercizio fino a che non ne sai bene in possesso. 

Lo scolaro dovrà saper fare l’esercizio sugl’intervalli anche solamente dopo aver sentito al pianoforte l’accordo entro il quale si tengono entrambe le note dell’intervallo voluto.

Per facilitare l’emissione vocale e per impostare bene le note acute, si usano generalmente i cosiddetti portamenti, cioè dopo d’aver cominciato l’emissione di una nota, si porta il suono sopra un’altra, ma di questa maniera di esecuzione, che può essere molto efficace se impiegata con parsimonia e nei luoghi opportuni, non bisogna abusare, perchè, alla lunga, procurerebbe un senso di stanchezza e di disgusto in chi ascolta. Dopo d’aver ottenuto sicurezza d’impostazione e d’intonazione di un dato intervallo coll’uso del portamento, converrà abolire quest’ultimo e attenersi puramente al legato.

Nell’usare poi i portamenti della voce, conviene badare di non esagerare strisciando la voce troppo lentamente: chi parte dal principio che si devono far sentire anche i quarti di tono cadrebbe nel lezioso o peggio. Nei veri portamenti, teoricamente si fanno anche i millesimi di tono, ma praticamente non si sentono; l’attenzione deve essere richiamata sulle due note da congiungere, attenendosi puramente alla vera e propria definizione della parola stessa che significa “portare la voce”. Generalmente i portamenti sono più appropriati nei passi di carattere dolce dove il grado dinamico prevalente è il piano, ed anche dal forte al piano o viceversa.

Riguardo gli ultimi esercizi di meccanismo, mi limiterò a far osservare che l’ agilità viene raggiunta gradatamente collo studio costante e progressivo. Il precipitare una voce per la smania di far eseguire presto un dato esercizio od una data scala è un controsenso che contribuisce a creare i famosi cantanti da strapazzo, dei quali purtroppo l’arte è infestata. I passi di agilità devono essere nitidi e puliti e risultare come sul pianoforte, altrimenti producono l’effetto del gorgogliare della pentola al fuoco, nel bollore. Ciò era molto osservato anche anticamente, sia dai cantanti come dagli scrittori stessi. 

Bach, Handel, Mozart cercavano la correlazione dei suoni nel marcato mentre il legato veniva adoperato per piccoli gruppi di note; e così pure possiamo ritenere che questo era il sistema del Caccini, perchè egli faceva abbondante uso delle note ripetute presto, cosa non possibile che col marcato.

Per quanto concerne la scelta del Metodo, il Garcia e il Delle Sedie hanno scritto lavori veramente pregevoli; però, senza fare delle preferenze o dei confronti, e tralasciando di menzionare molti altri, che pur sono ottimi, io ritengo che, per gli esercizi di meccanismo, tutti sono egualmente efficaci. Osservo soltanto che, senza ricorrere al Metodo propriamente detto, saranno sufficienti quei libri che modestamente riuniscono gl’intervalli, le scale, gli arpeggi e in generale il corredo per lo studio del meccanismo del canto; questi sono più economici e, senza dubbio, più pratici. 

Il Metodo, con tutte le sue numerose regole, servirà ben poco senza l’aiuto dell’insegnante, e l’insegnante che, facendo lezione, ha bisogno di ricorrere o fa ricorrere lo scolaro, alle regole del Metodo, ahimè, non sarà certo quello che farà il buon cantante. 

E per i solfeggi e vocalizzi, accennerò ai seguenti autori, molto usati e che io ritengo i migliori: Concone, Panseron, Righini, Crescentini, Garcia, Bona, Vivaldi, Scarlatti, Bordogni, Rubini. 

Non va dimenticato che lo studio del canto si fa generalmente coll’aiuto del pianoforte, ma quest’ultimo deve servire di semplice guida e niente di più. L’eseguire al pianoforte tutte le note che fa la voce è una pessima abitudine, inveterata in gran parte degl’insegnanti, col pretesto di aiutare la voce. Lo scolaro, per acquistare specialmente una stabile intonazione, dovrà cantare da solo il più possibile. Negli esercizi d’emissione si toccherà sul pianoforte la nota voluta e appena dopo breve pausa, la si farà ripetere dalla voce. In tutti gli esercizi di meccanismo, deve bastare l’accordo, e le note della voce saranno fatte col pianoforte soltanto qualche volta per correggere i difetti di intonazione, ma anche in questo caso, si procurerà che l’intonazione sia afferrata dallo scolaro nel sentire prima le note colla voce del maestro. 

Quando lo scolaro sarà alquanto inoltrato nello studio, così dalla parte che riguarda il meccanismo come dei vocalizzi e solfeggi, potrà cantare colle parole, cominciando dalle melodie e dalle romanze più facili e in seguito studiando i diversi generi di musica, tanto di stile antico quanto moderno. 

Non ho detto a caso prima antico poi moderno, perchè non raccomanderò mai abbastanza lo scolaro di essere ben sicuro sulle melodie facili e piane di una volta prima di affrontare la musica di Wagner. È provato che questa musica, per il suo genere, affatica e nuoce al cantante, il quale potrà sopportarla senza danno soltanto quando sarà ben temprato ed esercitato nella musica italiana della vecchia scuola. 

Ho già detto, parlando dell’igiene dell’organo vocale, e lo ripeto qui di nuovo, che non si deve gridare e cantar forte tutto il giorno, sforzandosi per acquistare volume di voce al disopra delle proprie forze. Anzitutto si deve badare alla qualità della voce, alla pronunzia e al bel modo di cantare, cercando di acquistare maggior flessibilità e facilità di emissione per tutta l’estensione della voce, anche nei pianissimi; e per ottenere profitto poi, il miglior modo di studiare è quello dove il lento e progressivo lavoro meccanico dell’organo vocale è coadiuvato dal lavoro mentale e dalla riflessione. 

Così pure non conviene mai studiare i pezzi a piena voce, bensì prima mentalmente, cercando di comprendere il vero senso delle parole e della musica, poi a mezza voce, badando alle inflessioni e agli effetti d’espressione, infine a piena voce, osservando i diversi coloriti. In questa guisa il cantante giungerà al punto di saper esattamente ciò che dovrà fare e sarà sicuro di ciò che verrà fuori dalla sua gola, prima ancora di aprir bocca.

Oggigiorno è continuo il lamento di coloro che affermano che l’arte del canto è in decadenza: la ragione di questo fatto si deve ricercare, secondo me, non tanto nella mancanza delle voci quanto nella deficienza dello studio e nel modo poco razionale di studiare, in coloro che si dedicano a quest’arte.

Si tenga bene a mente che i cantanti di una volta impiegavano per lo studio del canto non mai meno di sei anni, mentre ai nostri giorni, col pretesto che nella musica moderna (e sia pure, ringraziamone il cielo) non vi sono più le famose cabalette, le variazioni, le volate ecc. ecc. debuttano dopo due o tutt’al più dopo tre anni di studio, credendosi artisti finiti. Questa, però, non è una ragione sufficiente perchè lo studio venga limitato e ridotto; conviene notare anzitutto che la musica moderna offre difficoltà diverse ma non meno importanti dell’antica, e poi nel canto, come in qualsiasi strumento, è necessario superare più difficoltà di quelle che si possono trovare eventualmente in pratica: diversamente le esecuzioni, anche facili, produrranno sempre un senso d’incertezza a chi ascolta. Anche per la musica si può dire quello che si dice per le altre arti “chi non fa troppo non fa abbastanza“.

Testo estratto da Arte e tecnica del canto, Gustavo Magrini, Milano, 1905. – Luca D’Annunzio.

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