Riflessioni sull'arte del canto

Gustavo Magrini:

Requisiti per lo studio del canto

Giova premettere anzitutto che per accingersi allo studio del canto è mestieri possedere tutti i requisiti necessari. Il detto che per cantare basta aver voce è un’asserzione inesatta. Sarebbe come se si dicesse che per studiare il pianoforte basta possedere mani adatte. La voce è bensì il primo requisito, non lo nego, ma se questa non sarà (come purtroppo spesso si riscontra) di un volume poderoso, dovrà almeno avere i caratteri principali della voce-strumento, essere cioè pastosa, squillante, non dura, e gradevole all’orecchio di chi ascolta. lo non dirò, come Rossini, che per cantare occorre: voce, voce e voce, e neppure, come il maestro Franz, che per cantare basta saper declamare bene. Dirò solamente che per cantare conviene badare più alla qualità della voce che alla quantità. Non vi sono norme precise per giudicare se una voce ha le proprietà per essere adoperata come strumento musicale; il criterio di un maestro competente basta; questo non deve sbagliare come non sbaglia quasi mai il pubblico, che ascolta in un teatro o in una sala, nel giudicare la voce di un artista. Vi potranno essere dei giudizi personali, diversi uno dall’altro, a seconda dei gusti di ciascun uditore, potendo gli uni preferire un timbro piuttosto che un altro, ma questi giudizi saranno sempre soggettivi e non potranno influire affatto sul giudizio vero e sulla classificazione di una voce.

Oltre alla voce però, chi aspira allo studio dell’arte del canto deve possedere anche disposizioni musicali, cioè: un’anima d’artista, una intelligenza aperta, intuizione, criterio, memoria, e intonazione, o, come chiamasi comunemente e impropriamente, orecchio.

Le disposizioni musicali sono indispensabili, non solo per lo studio del canto, ma per quello di qualsiasi strumento: chi non le possiede dovrebbe senz’altro rinunciarvi. Un artista deve sapere interpretare un pensiero musicale, dargli l’espressione voluta dall’autore, far spiccare la propria e la personalità di quest’ultimo, rendere i sentimenti e le immagini che l’autore ha provato quando componeva, immedesimarsi delle situazioni, dello stato d’animo dell’autore, deve dare insomma ad un pensiero musicale il suo vero significato e renderlo in tutta la potenza estetica della sua creazione. E per ottenere questi risultati è evidente che l’artista deve possedere anima eletta, intelligenza e buon gusto, alle quali doti però non va dimenticato di aggiungere cultura generale, abitudine a riflettere e attitudine a conoscere i segreti del mondo psichico. È penoso il fatto che alcuni cantanti, anche dotati di buona voce, infiorino la loro parte di tali spropositi, e grammaticali e di buon senso, da dimostrare chiaramente la loro ignoranza e la loro incapacità a sentire quello che dicono; in questo modo ottengono il risultato di un sorriso di scherno, quando la passione dovrebbe commuovere l’uditorio. Non va dimenticata neppure la memoria fra le cose. necessarie : se la natura non è stata prodiga, con lo studio e con l’esercizio si potrà acquistarne, essendo essa indispensabile, specialmente per chi vuole diventare un buon artista.

Ho poi detto intonazione e non orecchio; benchè siano due cose dipendenti una dall’altra, conviene tuttavia distinguerle in modo assoluto. La parola « orecchio » è molto elastica, perché, come vedremo più innanzi, si può intenderla in vari e diversi modi.

Non sempre l’orecchio, dono di natura, risulta evidente come la disposizione per la musica (o per altre arti) ma, salvo ben inteso rare eccezioni, non manca; è questione di educarlo pazientemente e progressivamente fino dai principi dello studio del canto o di uno strumento qualsiasi.

Potrà essere più o meno pronto nell’afferrare, ma ripeto che se un orecchio è tardo nell’afferrare, non perciò bisogna dire che non esiste. Non è nuovo il caso, e capitò pure a me, di persone che dapprima sonavano stonato uno strumento qualsiasi, ossia stonavano senza accorgersene, e poi, con paziente studio, appresero il canto e cantarono intonato e giusto. Niuno potrà contestare che per l’orecchio è assai più difficile lo studio del Canto che quello di uno strumento qualsiasi.

Per me dunque « ha orecchio » colui che sente se altri canta o suona giusto e che distingue uno dall’altro tanto i motivi, o brani di questi, quanto i singoli suoni in rapporto alla loro altezza. Infine, ma ripeto, è tutta questione di educazione, un buon orecchio riesce a conoscere in quale tono un esecutore od un’orchestra suona un Pezzo di musica.

E’ erroneo attribuire ad « orecchio » il fatto di chi, andando ad assistere ad uno spettacolo d’Opera in un teatro, ne esce cantarellando i motivi principali. Questa è ritentiva; è bensì cosa dipendente dall’orecchio, perchè è questo l’unico organo per mezzo del quale noi sentiamo i suoni e le vibrazioni di qualunque corpo sonoro, ma non può dirsi « orecchio ». È un dono, è una facoltà, posseduta da certuni di ritenere e riprodurre con la massima facilità le impressioni ricevute nell’organo acustico, anche se queste sono istantanee. A conferma di ciò, posso affermare che tali persone, che a detta comune dovrebbero avere molto orecchio, messe allo studio del Canto o di uno strumento musicale, non danno risultati migliori di chi è privo di questa facoltà. Se mi fosse lecito il paragone, direi che le persone che hanno tale ritentiva sono come quelli che sanno facilmente, con poche linee, rendere il profilo di una persona, anche se l’hanno veduta una volta sola ; e non per questo sono buoni pittori, come vi sono dei buoni pittori che non hanno tale facoltà.

Quello che comunemente dicesi « orecchio » nel canto, è « intonazione », e questa dipende dall’orecchio, ma più di tutto dall’organo vocale. Per intonazione io intendo l’attitudine di ripetere esattamente con la voce, ad una prima prova, due o più note eseguite col pianoforte oppure co la voce del maestro. Questa è prova infallibile, dalla quale si potrà dedurre che nell’allievo esiste il germe dell’intonazione e che perciò, con lo studio razionale e metodico, potrà in seguito superare ostacoli e riuscire. […]

La causa del ritardo nell’ottenere un’intonazione esatta non va soltanto cercata nell’organo acustico, ma il più delle volte nell’organo vocale. Lo stesso Padre G. Martini diceva: « All’udito serve l’orecchia, che porta coi Suoni il Canto ancora a quella sede, ove l’anima lo sente ed intende; al movere il Canto servono gli organi formatori della voce, distanti dall’orecchia, e di costruzione da essa diversi; talmente che possono questi essere male acconci ad obbedire ai comandi dell’animo, che gli ordini il canto, mentre l’orecchia perfettamente costrutta a trasmetterlo all’animo sia valentissima; o almeno può esser l’orecchia a sufficienza disposta per fargli sentire il piacere del Canto, quando solo gli organi della voce siano disadatti a produrlo piacevole ». Vi sono dei soggetti che per natura hanno le note impostate, nei quali l’organo vocale è pronto ed ubbidiente all’orecchio, mentre altri, per riprodurre le impressioni dell’orecchio, hanno bisogno di lungo studio e di preparazione con esercizio dell’organo vocale; la deficienza d’intonazione è anche soventissimo causata dalla mal regolata respirazione.

Un’altra prerogativa per poter cantare è di possedere i polmoni sani, perché la buona respirazione è una delle prime condizioni necessarie. Ripeterò io pure il detto di egregi cultori del canto e che cioè, « chi sa ben respirare sa ben cantare »; aggiungerò infine che si deve cantare col cervello, perché è sotto la diretta ed assoluta guida della mente che l’udito e la voce devono di concerto agire per ottenere la dovuta perfezione nella formazione del suono e per poter applicare saviamente tutte le regole inerenti all’Arte del Canto.

Testo estratto da Arte e tecnica del canto, Gustavo Magrini, Milano, 1905. – Luca D’Annunzio.

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