Heinrich Panofka:
Considerazioni generali XXIII
Noi ci prendiamo la gran libertà di rivolgere questo capitolo ai medici, la cui precipua cura è di trattare le malattie della laringe e degli organi respiratorii.
Allorchè un de’ nostri osa d’intavolare con un medico una conversazione che tocchi un po’ di medicina, questi non ha pena a dirci con un tuono di voce dolce e melata: “Lasciate andare; voi non ne capite nulla”; mentre che noi, poveri musicanti, che abbiamo speso tutta la nostra vita allo studio dell’arte nostra, ci troviamo nel caso di dovere sentire le idee e i giudizi più balordi, di cui ci onorano gli amatori, col far precedere i loro discorsi dalla frase obbligata: “Io non son musicante, ma giudico col mio sentimento”.
Anche noi siam ben lungi dall’ impedire al medico che parli di musica; ma egli è del nostro dovere dirgli, che non basta esser medico esperto per giudicare e guarire le malattie della laringe e degli organi respiratorii, quando elleno derivano da stanchezza vocale.
In grazia del laringoscopio il medico può vedere l’interno della bocca fino in fondo: potrà dunque pienamente discernere se le corde vocali, la laringe o la trachea arteria sono affette; interrogherà generalmente il.cantante malato, s’egli abbia fatto sforzi; questi risponderà sempre di sì, e che egli ha sforzato la voce. Ora, sì per il cantante che non ha intelligenza, che per il medico non musicante, forzare la voce vuol dire gridare, o spinger troppo gli estremi limiti dell’organo vocale: e difatti quando l’indebolimento non deriva che da queste due cagioni, la guarigione si ottiene per le cure del medico; senza che da lui si possano pretendere cognizioni musicali. Ma v’è una gran quantità d’affezioni che possono provenire da sforzi di tutt’altra natura. Citiamone un esempio. Un soprano, il cui primo registro abbraccia le quattro note, dal do al fa inclusive, ma che ha seguito dei precetti come il seguente: “Il soprano, colla voce di petto arriva fino al là, sì, do di mezzo: poi il sì, il do e il re sono d’ordinario d’un timbro più debole e che sconguaglia. A rimediare, per quanto è possibile, a quest’inconveniente, bisogna addolcire gradatamente le due note che precedono il cambiamento, rotondeggiarle e anche forzare le due note che seguono. Ma io esorto gli alunni a spinger quanto possono i limiti della loro voce di petto; perchè l’infingardaggine e la paura di far degli sforzi fa loro perder sovente questa poderosa risorsa » (1). E più oltre: (2) “il trillo è un suono tremato con arte e che fa sentire distintamente due note”.
Questo soprano, diremo noi, che si fosse dato agli sforzi , avrà perduto non solo le note basse do, re, mi, fa, ch’egli aveva’ sortito dalla natura, ma si anche la maggior parte del centro, il quale, stando al consiglio del professore! di spingere le note di petto (il 1.° registro) quanto gli è possibile! verrà ad esser forzato contro natura. Questa maniera di dispiegar la voce e d’aumentarne la sua estensione collo sforzo, non rassomiglia a una ginnastica, la quale avesse per fine di dare svolgimento al corpo e di ringagliardirlo collo smembrarlo? Queste osservazioni sul professore di canto non iscemano per nulla la mia stima al cantante drammatico e al maestro di stile (3).
Se dunque il medico, posto anche che il cantante malato lo istruisca d’un tale stato di cose, non ha delle conoscenze precise sulla vera estensione dei due registri, qual altro consiglio potrà egli dare al cantante malato, che di guardarsi da una così fatta maniera di studiare? Ma tranne il caso che il cantante non intenda d’astenersi del tutto dal canto, questi consigli non gli serviranno assolutamente a nulla. Ecco un caso dove si rende necessario che il medico abbia cognizioni esatte, se non sull’arte del canto, almeno sulla formazione e sul dispiegarsi dell’organo vocale e sulla natura dei due registri.
Noi siam certi che qualunque professore di canto, probo e di coscienza, farà dei sufficienti studi anatomici per rendersi conto degli organi differenti e dei pericoli che s’incontrano a forzarli; giacchè le cognizioni anatomiche son così necessarie al maestro di canto come al medico quelle della formazione e dello svolgimento della voce.
Noi qui ci dobbiamo ristringere a questo solo esempio, quantunque vi sia un numero considerevole di casi che queste cognizioni sarebbero di necessità al medico, come nelle circostanze che abbiamo segnalato.
(1) L’Arte del Canto , di M. DUPREZ , pag. 4.
(2) L’Arte del Canto , di M. DUPREZ , pag. 44.
(3) Rubini m’ ha detto sovente ch’ei si credeva incapace di dare la menoma lezione di canto. Ei mi faceva con molta ingenuità notare che il cantante era troppo preoccupato della sua voce e de suoi talenti, per analizzare e conoscere a fondo la voce e i talenti d’un altro artista, e per fare un serio studio delle voci in generale. Mi diceva che non sarebbe al caso d’insegnare quel che fa egli stesso, e che per ottenere un simile effetto, bisognerebbe che lo scolare avesse la stessa natura di voce e la stessa qualità d’ingegno che lui stesso.
Un tal ragionamento non è egli da ammirare e degno del grande e si modesto cantante? non è una riprova che, per insegnare l’arte del canto, non basta d’esser cantante? non dimostra che il professore – cantante non insegna generalmente che ciò che sa fare egli stesso e non già ciò che conviene allo scolare in particolare? Che dire anzitutto di quei cantanti, i quali avendo perso la voce per non averne conosciuta la sua indole vera o per non averla saputa ben guidare, si compiacciono dedicare il loro tempo a divulgare il loro metodo? Loro primo dovere non sarebb’egli per lo meno dire agli alunni: Anzitutto non imitate me, perchè ho fatto male?
Invece noi vediamo costantemente il contrario! Rubini non aveva egli cento volte ragione; e chi più di lui possedeva i più preziosi segreti dell’arte vocale? Ci si potrebbe obiettare che Bernacchi, Pistocchi, Porpora, e altri celebri castrati hanno formato i più gran cantanti, e che l’epoca la più luminosa dell’arte del canto era per l’appunto quella in cui vivevano e insegnavano quei gran cantanti! Ci è facile la risposta. L’operazione alla quale eran debitori della lor voce quei cantanti, ne aveva limitato e precisato la natura e l’indole: diventava inutile, anzi impossibile di fare degli sforzi, nè potevano fare un soprano d’un contralto, e viceversa, come avviene a’ nostri giorni. Inoltre essi studiavano assai la vocalizzazione che è ciò che contribuisce a eguagliare la voce e a mantenere la vera indole. Loro unico scopo era svolgere e conservarsi l’acquistata abilità: li pungeva una sola ambizione, quella di gran cantante, e tutto il lor tempo consacravano agli studi vocali e musicali. I loro scolari adunque potevano baldanzosamente imitarli senza temere di denaturare la loro voce . E in grazia di questi perfetti esemplari tutti quei che allora cantavano, cantavano e non gridavano; s’andava sull’ esempio dei grandi artisti, si studiava per anni e non sei mesi soltanto, prima di cimentarsi alla scena. Se la sparizione dei castrati è un segno di civiltà, lo stato presente dell’arte del canto è, per l’opposito, un segno di barbarie.
Testo estratto da Voci e cantanti, Ventotto capitoli di considerazioni generali sulla voce e sull’arte del canto, Enrico Panofka, Firenze, 1871. – Luca D’Annunzio.