Heinrich Panofka:
Considerazioni generali XXV
La vera origine delle voci di Tenore di forza, introdotte, come parte rilevante, nel dramma musicale, è di recente data. Finché durava il regno dei Castrati, sarebbe stato impossibile di porre a fianco di questi eccezionali cantanti un tenore qualunque, avesse pure la levatura di Rubini: la lor gelosia n’avrebbe opposto insuperabile ostacolo.
Così noi non vediam comparire questa maschia voce nelle Opere che solo al cominciar del secolo; e fissata la sua estensione, dal sì b basso , al là alto.
Questa qualità di voce, propria dell’uomo giovane, ma vigoroso; d’una tempra nobile e capace ad un tempo d’un amor tenero, ma degno; è, come questa condizione d’uomini, poco comune; mentre che le voci dei tenori leggieri sono frequenti, come i giovani sentimentali, un po’ poetici, d’ un temperamento, se vuolsi, effemminato, pronti a buttarsi in ginocchio dinanzi alla prima giovinetta, purché sia bellina e bionda, e colle lagrime agli occhi, dichiararle un eterno amore.
Accoppiando a queste due qualità di voci quella di Basso, otteniamo la più compiuta estensione dell’organo vocale negli uomini; come, per questi tre distinti tipi, formiamo il più perfetto accozzo delle qualità che mettono in mostra il carattere dell’uomo.
Il tenore leggiero, è l’adolescente sentimentale, sempre innamorato ma senza passione. Il tenore di forza, è l’uomo giovane , che ama sul serio e con ardore. Il basso, è l’uomo dell’età matura, che, massimamente, prova l’amore paterno.
In altri tempi questa trilogia vocale bastava a tutte le combinazioni del canto.
I tempi moderni vi hanno introdotto un elemento nuovo, il Baritono; che sarebbe più giusto di chiamare mezzo-tenore, per le stesse ragioni per le quali si chiama mezzo-soprano la voce da donna che è l’equivalente del baritono.
Noi abbiamo avuto agio di tener dietro, da più di quarant’anni, all’andamento musicale, e, mercè la nostra passione per l’arte vocale e qualche istinto naturale per la osservazione, noi, fino dalla nostra giovinezza, abbiamo preso degli appunti sulle voci dei grandi cantanti che abbiamo sentito, in Italia ,a Parigi, a Londra e a Vienna. Ci è dunque permesso di parlarne con cognizione di causa.
I primi tenori che abbiamo udito furono, Giovanni David figlio e Donzelli. David era un gran virtuoso di canto; ma talvolta stravagante, e spesso improvvisatore: ebbe notevoli pregi e difetti grandi; e sarebbe stato di pericolo imitarlo. Noi non abbiam sentito così spesso quest’artista, da essere in grado di dirne oltre; e dobbiamo stringerci a queste poche parole, per passare a Donzelli, la cui memoria è più fresca al nostro spirito. Donzelli, al contrario, che vive ancora in età di 78 anni, merita che discorriamo più a lungo di lui.
Fu a Vienna, nel 1824, che noi udimmo questo grande artista, nato a Bergamo nel 1790.
La sua voce era d’una vigoria rara, e prestavasi, in ispecie, agli accenti drammatici; ma, grazie alla sua intelligenza, l’avea resa capace dei suoni più dolci e della più rapida agilità.
La sua estensione era dal si basso al là sopra le righe (chiave di sol): talvolta servivasi del là basso; ma questa nota mancava di nerbo. È la vera estensione della voce del tenore di forza. Di qui si vede altresì che i veri baritoni d’oggigiorno, la cui estensione è, d’ ordinario, dal là basso al sol alto, colle prime note basse però poco forti, e con quelle alte vigorose; non sono, in fondo in fondo, che tenori di forza limitati. Noi diciamo veri baritoni; conciossiachè molte di queste voci non sieno che bassi, che vogliono farsi baritoni che non arrivano che a mala pena al fa, pur forzando; motivo per cui mancan di polpa nelle note basse.
Osservisi che i baritoni dei nostri teatri tendono, come i mezzo-soprani tutti, a spingere le note alte al disopra dei limiti naturali; e che vi hanno compositori così benevoli, da scrivere in questa tessitura strozzata. I compositori non hanno essi dovuto, in ogni tempo, piegare il capo alle fantasie ed ai capricci dei cantanti? Sbizzarrirsi colle note acute: ecco la sola ambizione di questi graziosi uccelletti, maschi e femmine. Il compositore che, come i maestri di canto, conosce bene la tessitura di ciascuna voce, non vale a contenere questo eccessivo amor proprio dei cantanti, e cede. Ecco il male contro di cui non vi ha che un rimedio, ma che noi ci asteniamo d’indicare; perchè sarebbe combattuto dagli empirici con tanta forza, come fanno gli omeopatici verso gli allopatici; e perchè non ci piace di fare delle proposte al tutto inutili. Quando, da chi ha il mandato di vegliare all’educazione vocale dei giovani, ci saranno richieste, noi sarem pronti a darle, e senza pretenderne un brevetto d’ invenzione.
Donzelli, il quale ha percorso un’onorata carriera e che è rimasto fedele alle sue tradizioni, canta anche oggi, quantunque in età molto avanzata. Ei vive contento e stimato a Bologna, dove talvolta, in grazia de’suoi cari talenti d’artista, riesce di gran diletto agli amici.
Wild, cantante alemanno, nato nel 1792, che noi udimmo parimente a Vienna, s’accostava molto a Donzelli, sia per la qualità di voce, sia per il metodo: ma gli era al di sotto come cantante, e la sua voce aveva meno attrattiva e meno calore di quella di Donzelli: peraltro lo sopravanzava come attore. Trattenuto dal senno di non ispinger la voce al di là dei naturali confini, egli pure, come Donzelli, ha saputo mantenere la pienezza de’suoi pregi vocali fino alla vecchiaia.
Citiam pure un commendevole artista di quell’epoca, dotato d’ingegno e d’una bella voce di vero tenore; ma che non ostante è rimasto in seconda riga. Forti, quantunque italiano di origine, ha cantato in italiano e in tedesco; e forse questo miscuglio di lingue è stato d’ostacolo a risaltare nel pieno delle sue doti, e gli ha impedito d’alzarsi fra’ primi.
Bader, primo tenore della grand’ Opera di Berlino, nato nel 1789, deve trovare un posto a fianco dei buoni veri tenori di forza. Di bellissimo aspetto, di molta intelligenza, buon musicante ed attore eccellente, ma freddo nel canto. A lui confidò Spontini la prima parte del suo Fernando Cortez e di Nurmahal: ei pure mantenne intatta la voce fino al termine della sua carriera; e solamente negli ultimi anni di vita si dette a cantar per le Chiese.
Braham, tenore di forza, inglese, che noi abbiamo udito a Londra nel 1839, attempato e solamente in epoca che faceva valere i suoi talenti nei Concerti, possedeva una notevole dicitura ed un’assai calorosa espressione. Per lungo tratto di anni è stato la delizia delle Opere inglesi in Inghilterra e in America.
Eccoci a segnare il nome del più gran cantante che ci ha lasciato incancellabili tracce; d’un uomo privilegiato, fornito d’uno straordinario genio vocale, ma che non ha potuto fare una scuola; perchè gli esecutori e i compositori di genio non la fanno.
Haydn l’ ha egli fatta? No!
Mozart, nelle sue prime Opere, ha seguito lo stile di questo gran maestro; ma ben presto il suo genio s’ è fatto strada, ed è diventato Mozart.
E Beethoven! Non possiam dire di lui ciò che diciamo di Mozart ? Non fa egli, nel suo primo periodo, sentire apertamente l’ influenza de’ suoi due predecessori, per poi aprirsi la sua propria strada; e quale strada!
Berlioz, che ha preso le sue prime ispirazioni nelle ultime Opere di Beethoven, non ha egli, in seguito, trovato il tipo suo proprio? Si dica quel che si vuole di quest’uomo di genio, si mettan pure in rilievo le sue tendenze; ma bisogna rendergli giustizia e riconoscere, che non ha mai abbandonato il fare suo proprio, che non ha mai servito ai falsi numi, e che è sempre rimasto lui stesso: m’ è dolce richiamarmi alla mente la ricordanza dell’amico.
Ci si risponderà, per avventura che Rossini, quell’uomo di genio per eccellenza, ha formato scuola!
Noi lo neghiamo. Mercadante, Donizetti, Pacini e Meyerbeer vengono ordinariamente citati come appartenuti alla scuola di Rossini. Ci duole di non aver sentito le Opere di Pacini per parlarne; giacchè la sola lettura delle Partiture di piano-forte sono, a nostro avviso, insufficienti a portare un giudizio su d’un maestro. Certo che Mercadante ha nel suo fare un’ impronta particolare; quantunque di non tanto risalto, come quella di Rossini; ma la non gli si può negare sicuramente; come non si può negare quella di Donizetti, il quale, come Mercadante e Meyerbeer, cominciava coll’andare sulle tracce di Rossini. Ma Lucia, Don Sebastiano, i Martiri e la Favorita, sono Opere del tutto originali.
Quanto a Meyerbeer , le cui prime Opere non furono che schiette imitazioni dello stile Rossiniano, è fuor di contrasto, che le ispirazioni degli Ugonotti e del Profeta, non hanno nulla che fare con quelle di Margherita d’Angou e del Crociato.
E Bellini? È egli della scuola di Rossini?
E Verdi? Non s’ è egli subito staccato da talune rimembranze delle ultime Opere di Mercadante e di Donizetti, per mostrare il suo tipo potente?
Dov’ è adunque la scuola di Rossini? Noi pertanto portiamo opinione d’aver giustificato la nostra tesi, cioè ,che gli uomini di genio non formano scuola; se per iscuola vogliasi intendere una serie d’ Opere d’artisti fatte allo stampo d’un solo. Ciò non è proprio che degli uomini di talento, i cui allievi, diventando essi pure uomini di talento, continuano lo stilé del loro maestro, senza far fare però un paro all’arte.
Non vi hanno che insegnanti, i quali possano formare scuola col trasmettere ai loro alunni il meccanismo dell’arte professata; ma quanto ai concepimenti artistici, sarà sempre il genio particolare dell’alunno che glieli farà trovare. Tocca al maestro intelligente raffinare il gusto e lo stile; ma egli non deve mai imporgli il suo concetto. Il vero acume del professore sta nel discernere la particolarità dello scolaro; diversamente riescirà di leggieri a soffocare il genio degli alunni; e allora questi non diventeranno che una servile contraffazione dei talenti del loro maestro.
Spohr, il quale possedeva il meccanismo del violino alla perfezione, ha dato, su tutti i professori di violino, il più gran numero d’allievi, i quali sonavano tutti alla maniera del loro maestro; ma di cui nessuno ebbe un fare distinto a sè. Altrettanto si può dire degli scolari di Kalkbrenner. Quei di Liszt, all’ opposto, mentre che tutti posseggono la foga, la vita e il meraviglioso meccanismo onde va segnalato il celebre Abate, ciascun d’essi però ha la propria individualità, mercè il genio insegnante del professore. Ciò che noi diciamo dei professori strumentisti, può applicarsi ai professori di canto e di composizione. Jenny Lind, scolara di Garcia, che non canta affatto, ma che ha molto bene studiato il meccanismo vocale, canta ella come Garcia?
Gli scolari di Romani cantano eglino come lui?
Le opere drammatiche d’ Auber, discepolo di Cherubini, rassomiglian forse a quelle del gran precettore? Ciò che Auber imparò da Cherubini è la purezza e castigatezza dell’armonia e il contrappunto: in una parola, il meccanismo della composizione.
Credo inutile fermarmi più a lungo su questo argomento; e ritorno al nostro cantante di genio che si chiama Rubini.
Senza volerne fare una biografia, ma solamente delle riflessioni artistiche, ci contentiamo di dire che Rubini nacque, nel 1795, a Bergamo; la cuna dei tenori della fine del secolo XVIII. Questo meraviglioso cantante e Paganini erano i due più grandi genii esecutori dei loro tempi. Sì l’uno che l’altro erano così originali, sia dal lato della esecuzione, sia dal lato della espressione che, per farsene una giusta idea, bisogna averli sentiti.
La voce di Rubini era, ad una volta, d’ una maschia possanza, meno per l’intensità del suono, che pel suo metallo vibrato, della più nobile lega, e d’una rara flessibilità, al pari d’un soprano leggiero: cosicchè egli arrivava alle più alte note del soprano sfogato con una sicurezza ed una purezza d’intonazione così meravigliose, che si sarebbe tentati di crederlo un castrato. Rubini teneva, ad un tempo, del tenore di forza e del tenore leggiero; e cantava in modo impareggiabile ed ugualmente bene, la parte d’Otello e la parte d’AImaviva, di Pollione e d’Arturo, d’ Elvino e di Don Ottavio.
Così l’Opera ebbe con Rubini un’èra nuova pei tenori; e poichè egli apparteneva agli uomini di genio, così, non solamente egli non formò scuola, ma ispirò per giunta il suo compositore di predilezione a scrivere particolarmente per lui; dond’è venuto che le ultime Opere di Bellini son quasi scomparse dal repertorio. L’aria che dà la più giusta idea dell’immensa esecuzione di Rubini, era l’aria della Niobe di Pacini.
Uno de rari meriti di questo cantante consisteva nel potere cantare pianissimo, e far già così un grande effetto; di servirsi del primo registro (volgarmente e falsamente chiamato di petto) fino al sol solamente, e d’avere unito il primo al secondo registro in modo, da potere, senz’ombra di sforzo, emettere collo stesso vigore il sì b il si e il dò. Così il suo dò non è mai stato chiamato dò di petto; ma era più bello, più luminoso, più potente che la nota forzata dei tenori del dò. I quali non si possono abbastanza biasimare, perchè hanno ucciso l’arte del canto e un buon numero di poveri giovani, i quali avrebber potuto esser utili sui teatri; senza la mania di cercare, prima di tutto, il dò per ispacearsi il petto.
Ci sarebbe assai piaciuto di potere esaminare i talenti di Nozzari che fu il vero maestro di Rubini, ma egli non era più dei nostri tempi; e ci dobbiamo contentare l’offrirgli almeno gli omaggi, in nome di coloro ai quali Rubini ha fatto provare artistiche sensazioni così deliziose.
Facciam ricordo pur d’Ivanoff, il quale, per essere stato tanto tempo a fianco di Rubini, a Parigi e a Londra, seppe, nel confine delle sue forze, (ei non era che un tenore leggiero) andar segnalato per un’eccellente emissione di voce, per nettissima agilità e per ornamenti di fino gusto.
Di queste qualità andava pur privilegiato un altro tenore leggiero di quell’epoca; d’un amico del quale ci è cara la memoria, ed il quale, malgrado lasciasse il teatro nel vigore degli anni, non ha mancato d’essere utile all’arte del canto coli’ insegnamento e coi suoi stupendi vocalizzi. Si sarà facilmente compreso che noi parliamo di Marco Bordogni, col nome del quale noi chiudiamo la galleria dei passati tenori, paghi d’avere a citare fra quelli ancora viventi ed a noi noti, due veri tenori di forza; Tamberlick e Fraschini.
I cantanti possono distinguersi in tre diverse categorie; prima, cantanti senza essere artisti; cioè, esecutori che posseggono il pieno meccanismo dell’organo; seconda, artisti di canto, senza esser cantanti; e terza, veri cantanti artisti.
Questi ultimi massimamente meritano che su di loro fissiamo la nostra attenzione; quantunque taluni che appartengono alle due prime categorie, siensi fatto un rispettabile nome. Così David, lvanoff e Bordogni erano cantanti; Wild, Bader e Braham piuttosto artisti; mentre che Donzelli, e Rubini erano artisti-cantanti. A questi due nomi viene a congiungersi quello di Tamberlick, il quale; finchè era giovine, aippagavasi d’una voce magnifica, d’una dicitura e d’una pronunzia maravigliosa, d’un sentimento drammatico dei più rari, d’una nobiltà e d’un’ altezza di stile, e d’un modo di stare in scena da servir di modello e, per giunta, d’una fisionomia veramente bella.
Nessuno, secondo il nostro modo di vedere, ha cantato i recitativi meglio di questo grande artista; e fa pena che, sullo scorcio della sua carriera, egli sia andato in traccia di alcuni effetti isolati con qualche nota assai acuta, bellissima, se si vuole, e d’una facile emissione; ma che, per essere stata troppo spesso ripetuta, finiva per aumentare il tremolio della voce, che sempre ebbe, e per indebolire le note vicine, e così annientare l’omogeneità dell’organo vocale. Ahi! Tamberlick è il primo tenore moderno che ci strappa un sospiro; tanto più doloroso, quanto, ci troviamo in mezzo a un certo disordine vocale, inevitabile, quando un cantante si preoccupa troppo dell’effetto. Quest’artista è ancora spesso sublime per passione e per espressione; e, in certi momenti s’ inalza tanto per la perfezione del porgere e del rappresentare, da trarre all’entusiasmo e al delirio. Ed allora egli è per noi la più nobile manifestazione dell’arte vocale, il modello il più perfetto, il tipo del tenore di forza con tutte quelle qualità che noi abbiamo enumerato in principio di questo capitolo, e che costituiscono questa categoria d’artisti. Otello, Poliuto, e Giovanni di Leyda nel Profeta non troveranno un personaggio che gli rappresenti, più nobile e più veramente grande di Tamberlick.
Se con Tamberlick principalmente noi ci siam soffermati sul passato; se in questo grande artista noi abbiam deplorato alcuni smarrimenti del presente; ci troviamo quasi obbligati a una sentenza contraria intorno a Fraschini. Fu nel 1847 che noi abbiam sentito, per la prima volta, questo cantante al teatro di S. M. a Londra.
Egli vi cantava il Roberto il Diavolo, i Due Foscari e la Lucia; e fin d’allora la parte d’Edgardo nella Lucia era la sua parte prediletta: si chiamava ancora « il tenore della maledizione ». Noi confessiamo che i suoi sforzi d’allora ci avevan poco fermato: egli era un tenore di forza, ma non un tenor forte. Con qual maraviglia lo riudimmo, quasi vent’ anni dopo, al teatro italiano di Parigi, e modulare dal piano il più soave, fino al vigore il più drammatico, la sua magnifica e robusta voce, con tanta perfezione d’arte e con suoni sì freschi e sì giovanili, da far credere che cantasse un uomo in età di trent’anni al più!
Lucia era sempre il suo caval di battaglia; ma allora egli la cantava; mentre nel 1847 la gridava.
Qual altro tenore può gareggiare con lui nella Lucrezia Borgia; dove egli trova accenti d’una tenerezza così poetica, e dove fa piangere di dolcezza ineffabile nel magnifico terzetto?
Non ci è ignota la grande fama di Moriani massimamente nelle opere nelle quali noi abbiamo magnificato il Fraschini; ma non avendo noi udito il celebre artista, ci asteniamo di parlarne.
L’arte di Fraschini è la più dura lezione data agli abbaioni, i quali non cercano gli effetti che cogli sforzi e col do di petto; e sui quali serbiamo silenzio, per non amareggiare le soavi memorie che ci hanno destato i grandi artisti italiani, di cui è tema il presente studio.
O giovani tenori, andate a sentir Fraschini, studiate il suo fraseggiare, il suo accento, l’appoggio del suono, la dolce espressione e l’accrescer della voce fino alla forza naturale, e voi avrete (salvo la sua abitudine di tener troppo certi là o sì alti che perdono il suono argentino) uno squisito modello del miglior cantante (1).
(1) Avremmo voluto parlare del grande artista francese, Adolfo Nourrit; ma la biografia di lui testè pubblicata su questo sublime cantante dal Sig. Quicherat, è così perfetta, che noi rimandiamo a quella coloro che desiderassero di aver ragguagli esatti intorno Nourrit. In altro luogo poi dedicheremo un capitolo ai tenori Carrion, Mario, Mongini, Montanari, Nicolini, Roger, Steger, Tiberini e Villani.
Testo estratto da Voci e cantanti, Ventotto capitoli di considerazioni generali sulla voce e sull’arte del canto, Enrico Panofka, Firenze, 1871. – Luca D’Annunzio.