Riflessioni sull'arte del canto

Heinrich Panofka:

Considerazioni generali XXIV

Decadenza vocale
 

Ecco certamente una questione bruciante che agita il mondo musicale dal giorno in cui il do di petto usci per la prima volta dalla gola di Arnoldo nel Guglielmo Tell di Rossini; di quest’uomo di genio che ha incominciato la sua splendida carriera nella città che ora abitiamo, al teatro S. Moisè, a due passi dalla casa dove queste linee scriviamo.

Mi sento ognor lietissimo di poter esprimere la mia venerazione per questo immenso ingegno, ed ammirare nel creatore di tanti capilavori, il creatore pure della gloriosa scuola di canto, il cui merito era l’aver assegnato a ciascun genere di voce il genere di esecuzione che gli conveniva, e l’aver fornito ai cantanti un numero considerevole d’orna­menti del gusto più puro e più delicato.
 
All’ influenza di Rossini deesi la perfezione vo­cale di Donzelli, Garcia, Lablache, Nourrit, Tam­burini; e delle Damoreau-Cinti, Malibran, Sontag; scuola unica che venne continuata coll’aiuto di Bellini e di Donizzetti, e alla quale s’attaccarono tanti nomi illustri, quali Mario, Moriani, Rubini, Alboni, Bosio, Frezzolini, Grisi, ec.
 
La è ben curiosa che lo stesso uomo illustre, il quale ha fatto tanto per l’arte del canto, vuoi con le sue opere drammatiche, vuoi con gli ammi­rabili consigli che ha dato a’ cantanti della sua epo­ca, sia, senza averlo voluto, colpevole di lesa-voce, e perciò una delle cause della odierna decadenza vocale.
 
È noto che il Guglielmo Tell, alla sua appari­zione alla Grand’Opera di Parigi, non ha fruttato danaro, principalmente per colpa del libretto poco interessante. La parte di Arnoldo, scritta per Nour­rit, tenore di grazia per eccellenza, dotato di un gran talento e come cantante e come attore, è parte di tenore, così detto di mezzo carattere: in essa le note elevate vennero da Nourrit eseguite con voce di falsetto secondo l’ intenzione del compositore. La stessa cosa può dirsi delle parti di Raul negli Ugo­notti e di Eleazaro nell’Ebrea; opere scritte da Meyerbeer ed Halévy pel doppio talento di Nourrit, le cui parti, come quella di Arnoldo, non sono proprio che di tenore di grazia.
 
Questo ammirabile artista l’abbiamo udito alla prima rappresentazione degli Ugonotti cantar divi­namente, colla sua voce di un timbro veramente simpatico e poetico, e abbastanza potente da espri­mere i sentimenti cavallereschi e passionatamente, amorosi di Raul; l’abbiamo udito alla prima rap­presentazione dell’Ebrea nella parte di Eleazaro far mostra della stessa qualità di voce, di canto, ed elevarsi come attore a sublime altezza col far prevalere principalmente il sentimento paterno dell’Ebreo, evitando tutto ciò che poteva prestarsi all’esagerazione e alla caricatura; e tutto ciò per­chè Nourrit era vero poeta! Coloro che furono ini­ziati ne’segreti della fabbricazione delle macchine liriche in cinque atti, conoscono benissimo quale fosse la parte di Nourrit nella creazione di più d’una delle belle scene drammatiche dei libretti di Scribe.
 
Arnoldo, Raul, Eleazaro sono dunque parti di tenore di grazia, delle quali, secondo le in­tenzioni dei respettivi compositori, le note elevate sopra il sol deggiono essere emesse con voce di falsetto.
Stabiliamo questo fatto che crediamo inconte­stabile, e proseguiamo.
 
Si sa che Nourrit, avendo lasciato la Grand’Opera di Parigi per andar a Napoli, Duprez, allora molto in voga in Italia, fu da diverse parti chiamato a Parigi per sostituire il cantante-poeta; il quale in Italia non fu tanto apprezzato nel momento in che la forza vocale, cui erano stati abituati da Duprez, era divenuta una delle principali condizioni per il tenore: condizione deplorabile, cui pure siamo ora ridotti per le stesse cause.
 
Abbiamo anche assistito all’esordire del Duprez alla Grand’Opera di Parigi nella parte di Arnoldo del Guglielmo Tell; parte ch’ei cantò tutta intera a piena voce, così detta di petto, con una espressione grandiosamente drammatica che poteva piuttosto convenire ad un eroe di prima forza; carattere al quale Arnoldo, d’altra parte, non avea diritto di ambire. Duprez produsse un effetto immenso, prin­cipalmente nel momento in cui lanciava il suo do, detto di petto.
 
Non si chiedeva se questa parte scritta per un tenore di grazia di un talento tutto poetico, dal più illustre dei maestri dell’epoca, potesse logica­mente essere cantata con un’arte a dir vero perfetta da un tenore di forza, che dava a ciascuna sillaba una triplice potenza; cioè, vocale per il modo esa­gerato con cui era proferita, acustica pel suono forte con cui era emessa, drammatica per il gesto enfatico con cui era accompagnata. Non si chiedeva se l’autore di questo ammirabile spartito potesse essere abbastanza ignorante rispetto alla scienza vocale, per ammettere che la stessa parte potesse essere cantata da un tenore di forza come da un tenore di grazia. Non si faceva che un solo ragio­namento, cioè, che Guglielmo Tell con Nourrit frut­tava poco danaro, mentre con Duprez procurava de’ vistosi introiti.
 
Rossini intanto taceva. Ignoriamo se n’era con­tento: egli’ certo taceva. Ed ecco la sua colpa, poi­chè avrebbe dovuto protestare con tutta la sua autorità contro una tale profanazione, di cui egli più che qualunque altro doveva istintivamente pre­sentire le conseguenze funeste.
 
Meyerbeer ed Halévy vedendo il gran maestro impassibile alla demolizione del suo vero Arnoldo, cioè quale lo avea concetto per Nourrit, e che la nuova interpretazione di esso faceva affollare la sala, accarezzavano il Duprez; il quale dal suo lato mostravasi contento di assumere tutto il repertorio del tenore di grazia per trasformar questo in tenore robusto. Raul ed Eleazaro furono dunque, come Arnoldo, cantati a piena voce, detta di petto.
 
A partire da questo giorno, il tenore di grazia poetico fu bandito dalla Grand’Opera; esso fu sostituito dal tenore di forza drammatico, di un gran talento di dicitura, se vogliamo; avvegnachè esa­gerata e con una pronunzia poco corretta e poco eufonica (1); ma di un gestire stravagante che spesso gli dava l’aria di un nuotatore; di un fisico poco vantaggioso, ma dotato di .una forza di torace ecce­zionale; di un bel sentire musicale e drammatico, di un calore e di un’ampiezza nel fraseggiare; ma che non si faceva scrupolo di far udire l’ansare costante di una respirazione difettosa, e di aprire la bocca oltremisura.
 
Da allora con Nourrit scomparve il tenore di grazia e di poesia: esso più non esistette. Ma il do di petto era venuto alla luce!
Or chi può negare che, dal momento in cui Duprez aveva imposto la sua interpretazione della parte di Arnoldo con una persistenza, una tenacità e un’energia degna di causa migliore, i tenori non abbiano cercato altra cosa fuor della forza brutale, il do; o, meglio, non si siano industriati d’imitare gli errori del Duprez, senza occuparsi delle belle qualità che distinguevano questo artista? Chi può negare che da questo giorno i tenori non abbiano cantato le parti di Arnoldo, Raul ed Eleazaro, come tenori di forza anzichè di grazia, quali furono scritte in origine? Chi può negare che i cantanti non ab­biano dovuto prepararsi a questi do, a questi sforzi, per una lotta atletica contro la voce, lotta nella quale essa ha dovuto soccombere? Chi può negare che i soprani, in queste tre opere segnalate, non abbiano dovuto da questo momento aumentare con­siderevolmente il volume della lor voce e della loro respirazione per lottare contro il tenore di forza? E i soprani , stancati in questo modo come i tenori per gli sforzi vocali costanti , non sono a poco a poco spariti per cedere il loro posto ai mezzi so­prani, voci drammatiche anche potenti, ma che, malgrado la facoltà di arrivare talvolta alle più alte note del soprano, non possono cantare nella tessitura del soprano, senza deteriorare l’organo vocale? E non sono i contralti che alla lor volta vengono a sur­rogare i mezzi soprani? E i baritoni d’oggidi non sono, per l’estensione usurpata della lor voce, proprio i veri tenori di forza dell’epoca gloriosa di Rossini, quali furono Donzelli e Garcia? Chi può negare che i tenori di forza, mercè gli sforzi e l’esagerazione delle lor facoltà, non siano presto ridotti all’ impotenza e si salvino con un do qualunque? Non è a credere che, per mancanza di tenori, i compositori si troveranno presto alla necessità di sostituir quelli con de’ bari­toni? E questi, alla lor volta, si contenteranno poi del sol acuto, e non ambiranno forse il sol diesis e il la; limite del vero tenore del tempo passato? Chi può negare che certi bassi, i quali collo studio sarebbero divenuti eccellenti, non siansi sforzati a divenire baritoni? Ed ora ové sono i veri bassi cantanti? i veri contralti, i veri soprani, i veri tenori? Puossi smentire questo disordine nelle voci? mai no. Il male è troppo radicato perchè la gene­razione attuale possa comprendere che parti, quali quelle di Arnoldo, Raul ed Eleazaro, siano state eseguite da tenori.di grazia, e che tale sia la ragione dei gridi che abbrutiscono il canto. Nessuno ci po­trà contrastare che tai gridi abbiano costato la voce e l’esistenza a numerosi artisti destinati a percor­rere una carriera più lunga e più profittevole all’arte.
Oh l’arte dov’essa è mai ora!
 
In una parola, la sostituzione della forza alla grazia nella parte di Arnoldo non è l’origine di tutti questi mali? Non è una delle cause dell’odierna decadenta. vocale? E Rossini , questo genio di gra­zia, questo cantante di un gusto così puro, così delicato, non è colpevole per – aver lasciato fare, per non. aver protestato?
 
Venezia 1867.
 

(1) Il signor Duprez pronunziava erroneamente mon anche invece di mon ange, e chamais invece di jamais.

 
 

Testo estratto da Voci e cantanti, Ventotto capitoli di considerazioni generali sulla voce e sull’arte del canto, Enrico Panofka, Firenze, 1871. – Luca D’Annunzio.

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