Heinrich Panofka:
Considerazioni generali XIII
Il cantante non conosce la sua voce
Il famoso proverbio: uno vede il bruscolo nel ľocchio altrui e non vede la trave nel suo, non è mai più vero che quando si tratta del cantante. Un cantante s’accorge della cattiva emissione, della falsa intonazione del suo compagno, e non gli passerà per il capo d’esser tinto della medesima pece. Sono principalmente i cantanti che fanno prove sulla loro voce per cangiarne o correggerne il timbro; dandosi a credere di saperne più dei maestri; e appunto noi diciamo che sono essi cantanti che, invece di megliorare la loro voce, la rendono viepiù difettosa. E a buon conto nulla di più naturale. Che fa egli il cantante quando s’accorge che il timbro non corrisponde a’suoi intendimenti? Ei prova tutte sorte di timbri; queste prove gli levano dalla mente il primo suono difettoso, e finisce per adottar quello che più gli lusinga le orecchie. E qui sta l’errore, perchè la voce del cantante di teatro deve badare alla distanza e tocca all’orecchio di chi ascolta ad esser fermato dalla bellezza , dalla dolcezza e dalla potenza del suono.
E questo è un effetto d’acustica il quale, a somiglianza degli effetti ottici, richiede uno studio ragionato, circa l’uso dei mezzi. Il suono che, per la sua soavità, lusinga le orecchie del cantante sarà quasi impercettibile all’uditore lontano; il suono che a lui parrà potente non sarà che dolce, appena giunga alle orecchie del pubblico; imperocchè lo spazio che gli tocca a traversare, dalla bocca del l’artista all’estremità della platea, gli torrà la massima parte del suo vigore, nonostante che quel suono paia gagliardissimo a chi canta. A questo rispetto v’è una somiglianza fra la voce e gli strumenti a corda i quali , se paiono vigorosissimi in un locale ristretto, non hanno portata veruna in una gran sala.
Tutto ciò prova di quanto grande utilità sia per un artista, anche celebre, un amico o un maestro intelligente: l’uno o l’altro gli dirà dov’ei difetta; e in tal caso i consigli d’un maestro di proposito gli riusciranno d’inestimabil valore. Per questo noi vediamo dei veri artisti ricorrere di quando in quando al loro maestro, ancorchè essi abbiano percorso una brillante carriera, sia come virtuosi , sia come artisti cantanti. E vuolsi ben distinguere gli uni dagli altri. I semplici virtuosi, notevoli per una brillante esecuzione, per una maravigliosa agilità e che sovente s’agguagliano al meccanismo del flauto o del violino, ad altro assolutamente non mirano che all’effetto, agli applausi. Il porgere, l’espressione drammatica, i sentimenti vari, tutto questo è lettera morta per essi: altro non voglion essere che virtuosi, e volentieri si chiamano rosignuoli, rondinelle ecc.
Il cantante artista (Rubini e la Frezzolini) per contrario, deve anch’egli alla sua volta possedere un meccanismo perfetto in relazione alla sua voce per poterla dominare; ma egli baderà sopratutto a imprimere al pensiero dell’autore l’accento e l’espressione che richiede, ad applicare una pronunzia distinta, massime nei recitativi, a moderare la sua passione, a non lasciarsi trasportare dal desiderio di fare effetto o di piacere; in una parola ei non avrà in mira che il bello.
Diciamo ancora, a provare quanto sia difficile il giudicarsi da sè, che taluni i quali, al cominciare dei loro studi vocali cantano stonati, nonostante abbian sane le orecchie, pretendono distinguere la falsa intonazione negli altri. La ragione è semplice, ed è; che non sanno emetter la voce come si conviene. Le malaugurate denominazioni cotanto invalse di voce di petto, voce di testa, voce scura ecc., vi contribuiscono in gran parte; imperocchè i giovani col provare la loro voce per vedere se ne hanno una e quale, avendo udito parlare di queste differenti voci, provano la propria; vanno a tastone, cercano di rendersi conto del timbro; e mettono la voce in tutti i modi, meno il buono, e finiscono col non capir più nulla. Quando il professore fa loro emetter la voce secondo le regole dell’arte, essi rimangono stupefatti d’un tale risultamento. Ciò prova di più che non si può esser giudici in causa propria e che, chi meno conosce la voce, è colui che la possiede.
Testo estratto da Voci e cantanti, Ventotto capitoli di considerazioni generali sulla voce e sull’arte del canto, Enrico Panofka, Firenze, 1871. – Luca D’Annunzio.