Riflessioni sull'arte del canto

Lilli Lehmann:

Sulle zone della tessitura

Cos’è un registro vocale? Nient’altro che un’estensione, un ambito vocale; una successione di suoni cantati in un certo modo che sono prodotti da una particolare posizione degli organi vocali, come laringe, lingue, palato. Ogni voce ha a disposizione tre registri vocali: voce di petto, voce media e voce di testa; tuttavia essi non sono utilizzati da tutti i tipi di voce.

Due di questi registri si presentano nei principianti in certa misura uniti, il terzo è solitamente molto più debole, se non addirittura assente. Solo in rari casi si trovano per natura voci uniformi per tutta la loro estensione.

Esistono i registri per natura? No. Questi sono creati nel parlato quotidiano, si parla in un registro o in un altro per attitudine personale o per istinto d’imitazione divenuto abitudine. Se legato a un naturale e corretto lavoro muscolare degli organi vocali, allora questo ambito vocale così esercitato può formare un registro a sé, essendo più forte rispetto agli altri. Naturalmente solo i cantanti possono esserne consapevoli.

Se invece già nel parlato l’attività muscolare è errata, non solo la zona vocale utilizzata suonerà male, ma anche la voce nella sua interezza. Pertanto, in ogni tipo di voce, questa o quella zona può essere più o meno forte rispetto alle altre, ed è quasi sempre così, perché le persone parlano e cantano nel registro a loro più comodo o in quello a cui sono abituate, senza pensare al corretto posizionamento degli organi e spesso senza che, già da bambini, si richiami la loro attenzione su un modo di parlare chiaro e gradevole.

Nel migliore dei casi una zona molto esercitata costituisce col tempo un duplice confine: sia con la capacità sia con l’incapacità o la mancanza di abitudine. Si pongono confini alla voce considerando solo la comodità e l’abitudine, senza indagare né sull’efficienza degli organi né sulle esigenze dell’Arte.

Se questo modo particolare di cantare, che si adatta a tre o quattro suoni, fosse esteso a sei o a otto, nel peggiore dei casi si assisterebbe col tempo a una rottura nei suoni confini estremi, Nei casi più felici i suoni posti immediatamente dopo il confine saranno deboli e privi di forza in confronto a quello precedentemente forzati.

Si possono individuare e utilizzare tre di questi confini o modi di cantare: la voce di petto, la voce media e la voce di testa, che costituiscono ognuna un registro a sé se vengono esagerate, ma che invece dovrebbero essere sfumate tra loro affinché si fondano l’una nell’altra. Sotto la guida di un insegnante e attraverso il talento e la solerzia dell’allievo, gli organi andrebbero abituati a disporsi in modo che una zona vocale si congiunga all’altra, in modo che non si avverta il confine tra le due. In questo modo bellezza, uniformità ed estensione della voce sarebbero assicurate.

Questa separazione che avviene talvolta tra le diverse zone vocali ha creato il termine “registro”, adottato ovunque senza discussioni e che da anni gioca un ruolo impressionante nell’insegnamento del canto, contribuendo più di ogni altra cosa a provocare una terribile confusione tra cantanti e insegnanti, confusione pressoché impossibile da dissipare. Eppure questi registri non sono altro che tre modalità distinte di usare gli organi vocali e le risonanze.

Non c’è da stupirsi che, in virtù delle molte cattive abitudini dei cantanti e della completa ignoranza delle cause, qualcuno ci parli dell’esigenza di due, tre, quattro, cinque registri. Potrebbe allora essere più giusto onorare ogni singolo suono di ogni voce con il nome di extraregistro. Infatti, in definitiva, considerato singolarmente all’interno di un tutto, ogni suono è e deve essere preso collegandolo in modi differenti (anche se impercettibili) agli altri e con una diversa disposizione degli organi. Alla fine ci si è fissati con la denominazione di registro di petto, medio e di testa; i concetti di estensione vocale e registro sono stati scambiati e si è venuta a creare una confusione spaventosa, che solo le forze congiunte di potenti autorità potrebbero dissipare.

Finché si mantiene la parola registro, esso non scomparirà. Sta di fatto che la questione del registro deve sparire se si vuole generare una diversa corrente di pensiero derivante da visioni più sane da parte degli insegnanti e da una concezione più conforme alla verità da parte di allievi e cantanti.

È naturale che si dovrà impiegare più forza a sviluppare una sola zona vocale, o a collegarne due, di quanta ce ne voglia invece in una voce già completamente uniformata in tutte le zone raggiungibili. Per ottenerla servono molti anni di studio paziente e di osservazione, spesso il sacrificio prolungato o completo di una o dell’altra zona di confine a favore della vicina più debole; specialmente della voce di testa che, se non è mischiata, per molto tempo suona irregolare e sottile in confronto alla zona media, finché, esercitando gli organi a essere elastici, attraverso la capacità di resistenza dei muscoli della gola e la forza della tensione muscolare nei diversi posizionamenti, si possa arrivare ad una effettiva uniformità.

Le voci che comprendono solo una o due zone sono chiamate voci corte il cui uso è quindi limitato come lo sono loro stesse. Inoltre bisogna considerare che tutte le voci, sia quelle corte sia quelle lunghe e anche quelle dei cantanti più abili, se non sono maggiormente esercitate in tutta la loro estensione, attraverso il raffinatissimo uso della voce di testa, sono soggette, con l’età, a scendere dai loro confini superiori. Da ciò si deduce che è necessario dare alla propria voce la massima estensione possibile, per essere certi di poter far fronte a ogni necessità.

La struttura degli organi incide molto sull’estensione vocale. Ci sono voci forti, deboli, gravi o acute per natura. Tuttavia ogni voce ha i requisiti per ottenere una certa forza, flessibilità ed estensione attraverso uno studio appropriato.

Purtroppo la testardaggine dell’allievo ha un ruolo fondamentale e spesso ostacola anche l’insegnante stesso. Ad esempio molti cantanti vogliono studiare da contralto perché hanno paura di rovinarsi la voce cercando di ottenere suoni acuti, o perché fa loro più comodo, anche se non hanno nessuna giustificazione.

Oggigiorno no si scrivono più opere per celebri cantanti e per le loro peculiarità vocali. Compositori e librettisti esprimono ciò che sentono senza preoccuparsi del contralto che non ha il do acuto né del soprano che non ha il la bemolle o il sol grave. Ma il vero artista trova sempre ciò che gli serve.

Quasi tutti i cantanti possiedono zone vocali diverse, ma queste non devono essere percepite, non devono esistere. Tutto dovrebbe essere cantato con una voce mista, in modo tale da non forzare nessun suono a scapito dell’altro. Naturalmente, per evitare che i suoni siano monotoni, il cantante dispone di svariati mezzi espressivi in tutte le zone vocali (vedi: le vocali). Il primo è la conoscenza precisa dei vantaggi della risonanza dei singoli suoni e di suoni uniti tra loro. L’anima debe essere espressa attraverso il colore delle vocali, la tensione e il rilasciamento dei muscoli; l’abilità e la conoscenza delle cause, la gestione del fiato e la perfezione della forma danno la possibilità di rendere percepibili ogni grado d’intensità e di espressione. I registri sono quindi prodotti quando una successione di suoni, per lo più ascendente, è costretta a risuonare in una sola e sempre nella stessa area di risonanza, invece di pensare che, in un passaggio verso gli acuti, nessun suono è mai uguale all’altro, dal momento che il posizionamento degli organi va ogni volta modificato. Il palato deve rimanere mobile dalla zona vicino ai denti anteriori fino alla sua punta estrema ed elasticamente predisposto a ogni variazione. Molto dipende dallo stabile collegamento del naso con il palato molle (che può essere effettuato sempre) e dal maggiore o minore sollevamento e allargamento di quest’ultimo, da cui dipende il cambiamento del suono. Se i suoni finiscono in un vicolo cieco, come spesso accade nei registri nettamente separati, sarà impossibile passare a un altro registro senza un salto, che probabilmente è destinato a fallire.

In ogni suono, il cantante deve sempre pensare di poter salire più in alto e l’attacco di suoni diversi non deve essere forzato sempre nello stesso punto.

La laringe non deve essere spinta in basso o scagliata in alto in modo improvviso, a meno che non si voglia creare un effetto particolare; cioè quando bisogna passare da un suono di petto a uno della voce media o di testa legati, come gli antichi cantanti italiani facevano e io ho imparato a fare.

Solo i contrattacchi del diaframma contro la laringe che articola la e, che consistono in un sollevamento della laringe quando c’è una forte pressione del fiato, permettono di salire con un veloce balzo al suono acuto. È il cosiddetto canto di sbalzo, tecnica largamente impiegata e con buoni risultati se eseguita correttamente. Io la utilizzo ancora adesso nella musica italiana, alla quale appartiene. È un’eccezione alla regola per cui ogni cambiamento di posizione degli organi deve essere impercettibile.

La scala sale di semitono in semitono, l’altezza diventa maggiore e quindi anche la posizione degli organi non può rimanere la stessa. Ma, se i bruschi cambiamenti nel canto non devono mai essere avvertiti, lo stesso vale per i bruschi cambiamenti nelle sensazioni fonatorie del cantante. Ogni suono deve essere preparato impercettibilmente su una via elastica, cioè rilasciato, posizionato, e di nuovo rilasciato e originare una sensazione piacevole sia nel cantante sia nell’ascoltatore. Anche se il suo sollevamento e abbassamento apparentemente possono sembrare insignificanti, essi sono di estrema importanza per il suono e per il cantate.

Il centro del fiato, che costituisce al tempo stesso l’attacco e il corpo del suono attraverso la pressa dell’addome contro il petto, ha la sua sede stabile nel naso, sotto e dietro di esso. Senza corpo, il più fine pianissimo risulta insignificante. L’eccezione è rappresentata dai suoni più acuti non mischiati di testa che non possono esprimere nulla. In essi bisogna rinunciare completamente al corpo, il loro suono sospeso non tollera alcuna pressione e quindi alcuna espressione, la quale si ottiene solo mischiando risonanza di petto e di palato con l’impiego di vocali scure. Essi hanno significato solo in quanto suono.

Anche tutte le vocali devono avere la loro sede stabile di risonanza nel palato o nel naso. Tutta la bellezza dell’Arte del canto, della cantilena e di tutta la tecnica, si basa principalmente del legame ininterrotto di suono e parola e sulla flessibilità con cui il palato molle si muove unito a quello duro, sul continuo adattamento elastico del primo al secondo.

Se si vuole controllare il suono, e in sede di studio si dovrebbe fare sempre, bisogna solo verificare continuamente se, senza evidenti cambiamenti nella posizione degli organi, è possibile renderlo facilmente più morbido e farlo salire verso il naso o i seni nasali, cioè preparargli una forma di propagazione verso l’alto. In questo modo ci si renderà conto di quanta altezza il suono necessiti, anche senza essere troppo acuto, e di come sia spesso carente in altezza e durata per poter essere sufficientemente alto. E qui vengono fuori errori del tutto singolari! La causa di un suono troppo basso è da ricondurre al palato molle troppo alto posteriormente o al retro della lingua troppo basso, che, insieme, creano un vuoto nella cavità della bocca, impedendo alla voce di testa di partecipare alla risonanza. Questo errore è tipico di moltissimi cantanti, in tutte le voci e sempre negli stessi punti, e deriva dal fato che si mantiene la stessa area di risonanza per parecchi suoni, trascurando l’intervento della risonanza nelle cavità della testa. La forma di propagazione, senza la quale l’Arte del canto sarebbe inconcepibile, deve sempre essere creata con consapevolezza.

Trascurare questa importantissima legge ha come conseguenza un sovraccarico da parte delle corde vocali e dei muscoli della gola, che inizialmente provocano una voce troppo bassa e in seguito la comparsa dell’orribile tremolo (vedi p.86) di cui così tanti cantanti sono vittime.

Ci sono anche cantanti che impiegano la voce di testa su quasi tutta l’estensione vocale, le cosiddette voci bianche. Queste ultime, in assenza di un sufficiente impiego di vocali scure, delle tensioni e degli attacchi di petto e diaframma, non sono in grado di impressionare l’uditore perché la loro capacità di espressione è pari a zero. In questi casi si raccomanda di alzare il palato molle un po’ di più, di abbassare un po’ la laringe e di mischiare saggiamente la vocale u (che richiede una posizione bassa della laringe) a tutte le altre. In questo modo le voci dovrebbero suonare più calde ed espressive.

Nel momento in cui il cantante è in grado di creare in maniera consapevole per ogni suono una comoda e appropriata forma di propagazione per i successivi, tutte le questioni inerenti al registro dovrebbero sparire. Non si deve insistere sui registri, né costringere tanti suoni a risuonare sempre nello stesso punto. Ogni suono riceve impercettibilmente un posto proprio, una propria altezza, durata e forza, di cui necessita per essere perfetto. E tutto questo è dominato da un solo maestro: l’orecchio!

Questo risultato è purtroppo raggiunto così raramente, perché consiste in un controllo magistrale, cosa che purtroppo solo i veri maestri sanno fare.

Si può pensare che la zona grave abbia una forza maggiore, quella media una maggiore espressività, mentre quella acuta un suono di portata maggiore.

Ma la perfetta mescolanza delle tre zone per raggiungere le vette artistiche più elevate si può ottenere solo attraverso l’abilità dell’individuo e spesso solo attraverso un buon orecchi. Quando l’espressione delle parole, la bellezza della voce e la perfezione del fraseggio si ritrovano unite nel più elevato grado di completezza, questo deriva o dalla conoscenza o dalla naturale abilità nell’adattare con diversissime sfumature le parole cantate all’insieme di risonanze che sono in grado di far percepire il significato, e quindi lo spirito, delle parole. Tale insieme di risonanze è spesso prodotto da una maggiore sfumatura verso l’una o l’altra area di risonanza, attraverso vocali miste, senza rompere l’unione, la bellezza della frase musicale. Qui è il senso estetico a essere determinante, poiché, a dispetto di tutta la potenza e di tutta la verosimiglianza, è sempre la bellezza che va ricercata, senza passare mai i limiti dell’Arte del canto.

Anche questa legge è uguale per tutte le voci e per tutta l’estensione di un voce educata all’Arte del canto, che ha il grande compito di interpretare opere d’arte che, quasi sempre, sono tragedie dell’umanità, non semplici canzoni popolari.

La maggior parte delle voci maschili, per lo più i tenori, considera come svilente, innaturale, o ridicolo l’uso del falsetto. Esso è al contrario proprio di tutte le voci maschili, come la voce di testa è propria di tutte le voci femminili. Non sanno che partecipa al canto, perché spesso non immaginano nemmeno che esista, oppure lo conoscono solamente come suono puro e non mischiato, cioè conoscono solo la sua essenza più sottile. No hanno idea di come usarlo nella sua necessaria mescolanza alla voce di petto, e il loro modo di cantare segue questa concezione sbagliata.

La mescolanza è presente per natura in tutti i tipi di voce, ma è con l’abilità e la conoscenza che si deve imparare a sfruttarla, altrimenti la predisposizione naturale è inutile.

Testo estratto da Il canto: arte e tecnica, Lilli Lehmann, 1922. A cura di Valentina Valente. Traduzione di Elvira Carlotti. – Luca D’Annunzio.

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