
Heinrich Panofka:
Considerazioni generali I
Delle voci sane.
Una voce sana è cosa rarissima, principalmente là dove lo studio del Solfeggio precede la formazione della voce; perchè questo studio protratto prepara l’alterazione dell’organo vocale, prima d’avere imparato a servirsene.
Solfeggiare non è altro che cantare su do, re, mi, fa, sol, là, sì; tutte parole antipatiche alla buona emissione della voce, e che gli alunni pronunziano ugualmente su note che non sieno do, re, mi, ec.; perchè queste sette note van soggette a quattro alterazioni a cagione dei bimmolli e dei diesis.
Ora, do♯, do♭, do## e do𝄫 non son più do naturale: egli è adunque assurdo di far pronunciare una nota quando se ne canta un’altra. L’alunno, nell’emissione della voce, invece che dall’orecchio, non è che guidato dagli occhi. Questo studio del Solfeggio non sarebb’egli, per avventura, in sostanza, che un meccanismo illusorio; e non si potrebb’egli, senza qui stare a dirle, far solfeggiare altrettanto bene sopr’altre sillabe?
In Alemagna e in Inghilterra, dove le masse corali sono considerevoli, tanto per il nerbo vocale che per un’esecuzione veramente musicale, lo studio del Solfeggio è sconosciuto del tutto. Si comincia dall’imparare la grammatica musicale, e quindi si canta su delle parole. Lochè se, a dir vero, è scarso per lo svolgimento della voce, è pur anche meno nocivo che l’eterno borbottare della litania delle sette sillabe sacramentali.
Nè Haydn, nè Mozart, nè Beethoven, nè Weber, nè Schubert, nè Mendelssohn, nè Schumann hanno mai solfeggiato. Potrebbe negarsi per questo ch’ei non fossero, per lo meno, così buoni musicisti come gl’immortali propagatori del Solfeggio?
In Italia, dove si trova la più gran quantità di voci sane, i ragazzi, dopo aver imparato le note col Solfeggio parlante, cantano dei Vocalizzi, chiamati anche Solfeggi, sull’A; s’insegna loro a cantare, ma non a solfeggiare.
L’ho mostrato nel mio Abbecedario Vocale il pericolo che v’è nello studio del Solfeggio applicato agli alunni di canto; e quanto sia necessario di farlo precedere da uno studio preparatorio che abbia per iscopo l’insegnare a emettere e a posare la voce.
Ciò fatto, salta chiaro agli occhi che la voce dei ragazzi avrà più vigoria, e si spiegherà con più discrizione, cantando dei piccoli vocalizzi progressivi sull’A, e dei pezzi su parole scelte.
In questa guisa cadrà da sè stesso il vecchio Solfeggi, e con lui l’usanza invecchiata. E così allora si manterranno un po’ più le voci sane che, come dissi sul principio di questo capitolo, son mercanzia rara.
Segnaliamo ancora come causa di vocale rovina nei principianti, l’ignoranza, in materia risguardante la voce, della più parte dei professori di Solfeggio, che fanno gridare i ragazzi e i giovani, sien pure sul mutar della voce; e che, sì negli studi che nei pezzi, fanno loro oltrepassare i limiti naturali del loro organo vocale; così gracile e delicato. Il mio asserto vien confermato dalle seguenti linee d’una lettera che si compiacque inviarmi M. Fétis, l’illustre Direttore del Conservatorio Reale di Bruxelles, e che precede la seconda Edizione del mio Abbecedario Vocale.
«L’utilità del vostro libro si farà, caro Signore —scrive il Sig. Fétis— principalmente sentire nelle classi di Solfeggio, se i maestri ne intendono bene l’importanza; poichè egli è appunto in queste classi che, per mancanza di convenevoli cure, fa naufragio una gran copia di voci, le quali sarebbe venute su belle dopo lo sviluppo. In queste classi non si tratta di far cantanti scelti, ma d’evitare dei bruttissimi difetti d’emissione di suono di gola, di naso; di regolare la respirazione, di non oltrepassare certi limiti d’estensione ec.; tutte cose generalmente ignorate, e che il vostro Manuale insegna.»
Testo estratto da Voci e cantanti, Ventotto capitoli di considerazioni generali sulla voce e sull’arte del canto, Enrico Panofka, Firenze, 1871. – Luca D’Annunzio.